Riunione

Qualche settimana fa ho fatto da interprete per una riunione tra i vertici di un’azienda di produzione cinese e vari capi e capetti di un’azienda italiana.
Il tutto era online, con gli italiani (me compreso) variamente attrezzati di cuffie e microfoni, mentre i cinesi condividevano uno schermo a parete in una sala riunioni della loro fabbrica.
Un uomo della controparte italiana stava tra i cinesi, con aria visibilmente indispettita già dall’inizio.
La riunione era stata indetta (o “chiamata”, come dicono loro) già da giorni, quindi tutti i partecipanti sapevano della data; non solo, era stata mandata la scaletta con i punti da discutere, senza parlare di tutto il carteggio intercorso in precedenza.
Ebbene il capetto di turno dall’Italia ha esordito subito spruzzando veleno su di una certa particolare faccenda, tra le varie che erano in agenda.
Al che il suo uomo in Cina con calma glaciale lo ha informato che a suo tempo era stato mandato un messaggio con tutti i dettagli. Ecco il perché della sua espressione negativa: evidentemente conosceva il suo pollo e già sapeva cosa aspettarsi.
Tutti quindi hanno dovuto aspettare mentre questo qui davanti a tutti cercava il messaggio sul suo computer, informandoci del procedere dei suoi tentativi con “Ah no non lo trovo”, “Ma a chi l’avete mandato”, “In che data lo avete mandato” e altre esternazioni completamente fuori luogo.
Alla fine dopo avere finalmente trovato il messaggio l’ha dovuto leggere, mentre tutti gli altri si guardavano in faccia fischiettando.
Come si può giustificare qualcuno che pretende di avere voce in capitolo ma non si è tenuto aggiornato sul procedere?
Come è possibile che certa gente si creda in diritto di poter disporre del tempo altrui per fare i propri comodi?
Certo, mi diranno i miei sagaci lettori, ma quando uno è molto impegnato non fa mica in tempo a leggere tutto.
Beh io dico che se è una tua responsabilità e sei tu che devi decidere, se hai voce in capitolo ti senti in diritto di fare la checca isterica ma non sei aggiornato sulla faccenda, allora vuol dire che stai lavorando male.
Con il procedere della riunione poi ad un certo punto questo ha incominciato a saltellare in giro per la stanza lanciando urletti incolleriti. È stato uno dei momenti più imbarazzanti che ricordi.
I cinesi, già notoriamente restii a manifestare emozioni apertamente (e comunque non certo prima di avere tracannato quantità preoccupanti di grappa), non hanno battuto ciglio; forse perché già abituati a certe esternazioni del personaggio, oppure può darsi che avessero deciso in precedenza di mantenere un comportamento dignitoso.
Comunque a giudicare dagli sguardi scambiati di sottecchi penso che l’opinione maturata a riguardo del capetto in questione non fosse troppo lusinghiera.
Ad un certo punto la questione volgeva su di un certo problema tecnico. I cinesi si sono assunti la responsabilità dell’errore.
Nella mia modesta opinione se uno dice “Ho sbagliato, è stata colpa mia”, perlomeno gli si dovrebbe dare atto dell’onestà dimostrata; sicuramente sarebbe inutile rigirare il coltello nella piaga, cercando di ottenere poi che cosa? Un vantaggio tattico? Uun senso di superiorità, di affermazione?
Invece è proprio quello che è successo, con il capetto urlatore che pretendeva di sapere perché fosse stato commesso l’errore, chi avesse sbagliato, come fosse stato possibile sbagliare una cosa tanto semplice; il tutto chiaramente con me in mezzo che dovevo tradurre le sue esternazioni.
Bravo,capetto italiano, bravo. Hai avuto la tua affermazione di identità. Hai affermato il tuo (ridicolo) potere.
Sei stato di qualche utilità? Hai contribuito alla situazione?
Bah, che devo dire. Alla fine l’importante è che paghino, poi se tutta la baracca affondasse nell’ignominia comunque non sarebbero problemi miei.
Però alla fine della fiera… che vergogna

How to f**k the white monkey for fun & profit 101: case study #5 (pt.1)

Per questa puntata ero quasi tentato di cambiare il nome del protagonista… povero Brambi, mi sembrava di averlo già tartassato abbastanza.
Quasi me lo immagino, me lo vedo davanti agli occhi: decisamente sovrappeso per non dire grassoccio, con un bel faccione bianco e rosso, stretto in un completo grigio chiaro di una misura troppo piccolo per lui.
Un po’ pelato, ma si fa il riportino; ha sempre con sé un fazzoletto perché suda in abbondanza anche d’inverno.
Ma non facciamoci prendere dai sentimentalismi, via, un’altra puntata sul nostro Brambillone nazionale!
È venuta un po’ lunga per cui la pubblicherò in due parti.
Comunque, il nostro eroe dopo averne prese un sacco e una sporta da Mr W. e Mr. Y. (vedi puntate 1, 2, 3 e 4 ) non se l’era presa poi troppo male; anzi se ne era fatta una ragione, si sa, gli affari sono affari, mica sempre va bene.
Il problema sono i suoi amici milionari, quelli che in Cina si sono arricchiti con le produzioni a basso costo e ora lo prendono in giro dovunque osi mostrare il suo rubicondo volto.
<voce da imbruttito> “Alura Brambilla, come va coi cinesini? Stai vendendo?” (pacca sulla spalla) </imbruttito>
Brambilla non ce la fa più. Non è possibile che tutti intorno a lui stiano nuotando nei soldi cinesi e lui invece abbia preso solo batoste.
Dopo lunghe elucubrazioni una soluzione si profila all’orizzonte. Nella sua mente ormai lo striscione del mercato più grande del mondo si è purtroppo miseramente afflosciato, sostituito però da uno ben più sgargiante e promettente: “ANDARE A PRODURRE IN CINA”!
Ora devo aspettare un attimo che si calmino le omeriche risate suscitate da questa frase, che andava così di moda qualche anno fa,
Il Brambilla non è mica l’ultimo arrivato, mica pretende di andare in Cina a mettere su una fabbrichetta.
Lo sa persino lui che ormai di trippa per gatti non ce n’è più… non sono più gli anni ’90 quando i canti delle snelle sirene cinesi dagli occhi a mandorla attiravano investimenti da tutte le parti del mondo, capannoni e siti produttivi spuntavano come funghi per sfruttare la monodopera locale a basso costo.
Piuttosto, ecco la scaltra alternativa: trovare una fabbrica cinese già avviata, e far loro produrre OEM il marchio COBRAM.
Ma è l’uovo di Colombo! Brambilla si tira i radi capelli: come non averci pensato prima?
Con tutte le fabbriche che ci sono in Cina, così golose di ordini dall’estero, così trepidanti nell’attesa di servire clienti occidentali!
Si prenoti immantinente un biglietto areo per la Cina!
La solerte segretaria non fa nemmeno in tempo a finire la prenotazione che il Brambilla già si precipita in aeroporto.
Inizia così la lunga trafila per trovare un fornitore in Cina: viaggi in lungo e in largo per le visite alle fabbriche, interminabili cene condite da innumerevoli brindisi con il famigerato 白酒 (báijiǔ) “baijiu”(*), e poi campioni da valutare, parametri da decidere, condizioni da specificare… non si finisce più.
Persino il Brambila ad un certo punto arriva al punto di non poterne proprio più; sta per gettare la spugna: quello che sembrava l’Eldorado si sta invece rivelando una insopportabile ordalia.
Ed ecco che ad un tratto succede il miracolo: si trova una fabbrica di tutto rispetto, sia pure sperduta in mezzo al nulla, che si dichiara entusiasta di produrre le carabattole COBRAM, e anche ad un prezzo stracciato!
Tanto stracciato da esser incredibile, come faranno a starci dentro?
Eppure i campioni inviati sono ineccepibili, i contratti parlano chiaro… Si proceda!
Presto le cupe nuvole della disperazione sono fugate dall’atmosfera degli uffici COBRAM, per essere sostituite da ottimistiche esternazioni: “Gliela facciamo vedere noi a quei tromboni dell’associazione industriali, ah!”, “Il Brambilla è arrivato in Cina”, ah! e via dicendo.
Con il passare delle settimane e dei mesi la situazione migliora a passi da gigante.
Finiti i tempi cupi dei profitti risicati al centesimo, era da anni che non si vedevano numeri del genere in fondo ai bilanci.
Persino i dipendenti sono passati dal tradizionale italico disincanto nei confronti dell’azienda ad un moderato ottimismo, addirittura i responsabili del “progetto Cina” sono soggetti a bonarie battute tipo “A te sì che va tutto bene” che sottintendono però la pronfonda invidia di chi non ne fa parte.
Il Bramb è al settimo cielo. Oramai è entrato nell’olimpo degli industriali, non lo ferma più nessuno.
Chi prima lo prendeva in giro ora lo approccia con le orecchie basse e gli fa i complimenti.
Diciamocelo: il Brambilla sta per scoppiare dalla felicità.
E come tutti, ma proprio tutti, nessuno escluso, il Brambilla non si accontenta.
D’altra parte dopo tante fatiche e tante perdite, una volta trovata la miniera d’oro perché non sfruttarla appieno?
Perché continuare a mantenere costosi dipendenti scansafatiche, complicati e fragili macchinari, perché continuare a pagare l’affitto di ormai vuoti capannoni quando conviene così tanto produrre in Cina?
Perché non trasferire tutta la produzione in Cina?
Arrivederci alla prossima puntata per l’inevitable catastrofe che sta per abbattersi sulla COBRAM.

Note:
(*) praticamente petrolio

Novella 26

他还有一个电匣子, 据说是花了大价钱从一个山外人手里买来,为的是学些新词儿,编些新曲儿。

Aveva anche una radiolina, che si diceva essere stata acquistata a caro prezzo da qualcuno che veniva da oltre le montagne; la usava per imparare nuove strofe e nuove melodie.

  • 电匣 (diàn xiá) “radiolina”

其实山里人倒太在乎他说什么唱什么。

In effetti la gente sulle montagne teneva fin troppo in considerazione quello che lui diceva o cantava.

  • 倒太在乎 (dào tài zài hū) “preoccuparsi troppo”

人人都称赞他那三弦子弹得讲究,轻轻漫漫的,飘飘洒洒的,疯颠狂放的,那里头有天上的日月,有地上的生灵。

Tutti lodavano le squisite melodie che traeva dal suo violino, delicate e soavi, fluttuanti, pazze e selvagge, evocanti il sole e la luna nel cielo, e le creature sulla terra.

  • 称赞 (chēng zàn) “lode, elogio”
  • 讲究 (jiǎng jiu) “prestare attenzione ai dettagli, esigente”
  • 轻轻漫漫 (qīng qīng màn màn) “leggere, rilassato”
  • 飘飘洒洒 (piāo piāo sǎ sǎ) “alla deriva, leggero e libero”
  • 疯颠狂放 (fēng diān kuáng fàng) “selvaggio e sfrenato”
  • 生灵 (shēng líng) “esseri viventi”

老瞎子的嗓子能学出世上所有的声音。

Era come se la voce del vecchio cieco contenesse tutti i suoni del mondo.

  • 嗓子 (sǎng zi) “gola, voce”

男人、女人、刮风下雨、兽啼禽鸣。

Uomini, donne, vento e pioggia, e i versi delle bestie.

  • 兽啼禽鸣 (shòu tí qín míng) “urli di bestie e cinguettii di uccelli, rumore della natura”

不知道他脑子里能呈现出什么景象,他一落生就瞎了眼睛,从没过这个世界。

Non si poteva sapere quali visioni passassero nella sua mente; cieco dalla nascita, non aveva mai vissuto nel mondo reale.

  • 呈现 (chéng xiàn) “mostrare, presentare, esporre”
  • 景象 (jǐng xiàng) “panorama, vista, scena”

小瞎子可以算见过世界,但只有三年,那时还不懂事。

Si sarebbe potuto dire che il piccolo cieco aveva visto il mondo, ma solo per una durata di tre anni, quando non capiva ancora niente.

他对说书和弹琴并无多少兴趣,父亲把他送来的时候费尽了唇舌,好说歹说连哄带骗,最后不如说是那个电匣子把他留住。

Egli non nutriva troppo interesse nelle storie e nel violino; quando suo padre l’aveva avviato alla professione di cantastorie aveva dovuto usare ogni argomento possibile per convincerlo, e alla fine l’unica cosa che lo aveva trattenuto era stata la radiolina.

  • 兴趣 (xìng qù) “interesse, hobby, passione”
  • 费尽了唇舌 (fèi jìn le chún shé) “usare ogni argomento, fare sforzi smisurati”
  • 好说歹说 (hǎo shuō dǎi shuō) “fare pressione, persuadere con ogni mezzo”
  • 连哄带骗 (lián hōng dài piàn) “imbrogliare, ingannare”

他抱着电匣子听得入神,甚至发觉父亲以时候离去。

Teneva la radiolina all’orecchio come fosse un oracolo, a malapena si accorse che suo padre lo stava abbandonando.

  • 听得入神 (tīng de rù shén) – “ascoltare così attentamente da essere rapiti”
  • 甚至 (shènzhì) – “persino, addirittura”

recinto

Ecco un famoso 成语 (chéngyǔ):


亡羊补牢 (wáng yáng bǔ láo)

  • 亡 (wáng) “morte, perdita, sparire”: 灭亡 (miè wáng)”estinguere” come in 恐龙灭亡 (kǒng lóng miè wáng) “l’estinzione dei dinosauri”
  • 羊 (yáng) “pecora, ovino”; infatti 山羊 (shānyáng) è “capra”
  • 补 (bǔ) “riparare, correggere”: 补偿 (bǔcháng) “compensare, risarcire”; 补丁 (bǔdīng) “pezza, toppa”; 补充 (bǔchōng) “integrare, completare”
  • 牢 (láo) “prigione, recinto”: 坐牢 (zuò láo)”imprigionato”

Letteralmente significa “Riparare il recinto dopo che la pecora è scappata.”

Il bello di questa frasetta è che si può usare in più modi:

  1. Esortativo tipo “Non è mai troppo tardi per correre ai ripari (in seguito ad un problema)”: 没事了,可以亡羊补牢 (Méishìle, kěyǐ wángyángbǔláo)
  2. Derogatorio: “Ueh pirla, è inutile che ti affanni adesso che è troppo tardi”: 你怎么笨,就是亡羊补牢 (Nǐ zěnme bèn, jiùshì wángyángbǔláo)
  3. Preventivo, nei suggerimenti: “Meglio che facciamo qualcosa adesso prima che sia troppo tardi”: 不要亡羊补牢 (Bùyào wángyángbǔláo)

Esistono versioni diverse riguardo alle origin di questo motto.

Secondo alcuni questa perla viene dal 列子 (Lièzǐ) “Liezi”, un libro scritto da 列御寇 (Liè yù kòu) “Lie Yukou” nel periodo dei Warring States (战国时期 Zhànguó shíqí , 475-221 A.C.), un tempo di eroi e gesta leggendarie, grande sviluppo letterario e pecore molto intraprendenti.

Nel libro è raccontata la storia di un pastore che appunto trascura di riparare un buco nel recinto delle pecore, quindi una di queste scappa, dopodiché lui ripara il recinto.

Praticamente è come una una favola di Esopo, ma in un libro che in realtà è un trattato filosofico taoista. Infatto l’autore poi prosegue con tutta la pippa di come certe cose vadano fatte per tempo eccetera. Comunque le generazioni successive hanno sublimato la storiella in un motto, e così è arrivata fino a noi.

Il libro è considerato uno dei capisaldi del taoismo assieme al 道德经 (Dàodé jīng) “Dao De Jing” di 老子 (Lǎozi) “Laozi” (di cui esistono innumerevoli versioni online) e al 庄子 (Zhuāngzi) “Zhuangzi”, il libro scritto da se stesso, infatti l’autore si chiamava proprio 庄子.

In realtà pure l’autore del Liezi viene indentificato con il nome del libro, come ulteriore riprova che i cinesi antichi non avevano tempo per badare a certi dettagli secondari, occupati com’erano a combattersi l’uno con l’altro e rincorrere pecore fuggitive.

Il Liezi si differenzia dagli altri per l’utilizzo di allegorie e metafore per spiegare concetti filosofici; è ricco di storie popolari, miti e leggende, tutti intesi a rappresentare valori educativi e di grande significato filosofico.

Un’altra versione parla del 战国策 (Zhànguó cè) “Strategie dei regni combattenti”.

Ai tempi, nel regno di 楚 (Chǔ) “Chu” un ministro di nome 庄辛 (Zhuāng xīn) “Zhuang Xin” disse al re 襄 (Xiāng) “Xiang” che stava facendo troppo lo sciolto con i suoi amici ricchioni (同性恋, tóngxìngliàn) invece di seguire i problemi dello stato.

Per esempio, pare che la città di 郢 (Yǐng) “Ying” (la loro capitale) fosse in pericolo di essere invasa da qualcuno degli altri stati (cosa che a quanto pare capitava un giorno sì e l’altro pure).

Il re a sentirsi dare del ricchione montò su tutte le furie e ne disse di tutti i colori al buon Zhuang Xin.

Questi rispose che se ne sarebbe andato a nascondersi nel vicino regno di 赵 (Zhào) “Zhao” per vedere cosa sarebbe accaduto.

Detto fatto, Zhuang Xin ristette a Zhao per soli cinque mesi, dopodiché il regno di 秦 (Qín) Qin invase Chu, e il re Xiang fu costretto ad andare in esilio.

Mandò allora a chiamare Zhuang Xin per chiedergli consiglio. Zhuang Xin rispose con una filippica sui doveri del sovrano e gli smollò anche il proverbio di cui sopra, non si sa in quale delle tre accezioni.

Morale che comunque sono delle belle storielle e il proverbio salta fuori spesso anche nella conversazione normale.

How to f**k the white monkey for fun & profit 101: case study #4

Questo di cui andiamo a parlare oggi è un altro super classicone, riproposto in mille salse alla scimmietta bianca di turno che regolarmente poi ci casca sempre.
Riprendiamo un attimo i personaggi dell’ultimo capitolo, in particolare il Brambillesco protagonista della vicenda che ad un certo punto arriva al limite e dopo avere subito un’ultima spudorata truffa, con espressione corrucciata e minacciosa decide che Mr. W. non risponde alla bisogna.
Dopo tutti i soldi dolorosamente estratti dal portafogli manco fossero altrettanti denti del giudizio, gli utili derivanti da quello che tutti sanno essere “Il mercato più grande del mondo” sono a dir poco striminziti, e questo significa solamente che Mr. W. non è proprio capace.
Ora il nostro eroe Mr. Bramb non è certo uno stupido, dopotutto si è fatto da solo partendo dal nulla e la gavetta eccetera, quindi sospetta che l’agente cinese stia facendo il furbo.
Per rimediare alla questione non c’è altro da fare che mandarlo a quel paese e cambiare agente.
La questione è presto risolta, e senza nemmeno troppi battibecchi; anzi Mr. W. sembra fin troppo accomodante.
Ma tent’è, è la dimostrazione che i sindacati incarnano il male supremo, vedi che in Cina non ci sono e funziona tutto così liscio!
Altro che diritti del lavoratore, contratti di settore e ammortizzatori sociali!
Non vai bene? Via, chi s’è visto s’è visto! Bisogna imparare da questi cinesi!
Ecco dunque che il Brambilla riparte alla ricerca di un nuovo agente.
Stavolta sta più attento, ne sente parecchi, magari si fa aiutare da qualche studio, e alla fine trova il candidato adatto: Mr. Y.
Senza troppe pretese, modesto, aria efficiente, sguardo arzillo: preso!
Dopo la solita manfrina burocratica, ecco che partono i primi container.
Quello che il signor Brambilla non sa è che Mr. Y. è un agente della concorrenza: il settore si sta espandendo, qualche impresa cinese ha aspirazioni sul mercato e vuole minimizzare il più possibile le interferenze esterne.
Nel nostro caso, al 95% si tratta dello stesso Mr. W., il precedente agente, che oramai si è fatto una posizione e vuole mantenerla.
Ecco l’inghippo: Mr. Y. lavora per Mr. W., anzi probabilmente ne è il fratello o il cugino, e non ha alcuna intenzione di vendere i Brambilleschi prodotti, di espandere il mercato o di fare alcunché per aiutare la Cobram.
Anzi, tutto il contrario: Mr. Y. terrà i container di prodotti bene al sicuro in qualche magazzino, o al massimo li farà avere a Mr. W., che li venderà come propri.
Cosa ci guadagnano Mr. Y. e Mr. W.? È presto detto: guadagnano tempo prezioso per migliorare la propria posizione di mercato, eliminando sul nascere un pericoloso avversario.
Questo giochino di norma può andare avanti per un anno o giù di lì, dopodiché si potranno presentare diversi scenari:

  1. Bramb capisce che entrare nel mercato cinese non è così elementare e getta la spugna leccandosi le ferite. Mr. Y. e Mr. W. ridono di gusto.
  2. Bramb fa fuoco e fiamme e cerca giustizia tra avvocati e tribunali cinesi. Mr. Y. e Mr. W. si spaccano proprio dalle risate, perché Bramb è destinato a rimanere con un pugno di mosche in mano.
  3. Bramb monta una invasione in grande stile, mandando le sue persone in loco invece di affidarsi ad agenti. Buona fortuna! Dovranno combattere con Mr. Y. e Mr. W., che ormai hanno imparato quello che c’era da imparare e ora sono agguerriti leader di mercato.
  4. Bramb capisce che non ha modo di batterli, e si unisce a loro con qualche tipo di accordo commerciale. Mr. Y. e Mr. W. si fregano le mani, perché per loro questo significa che arriveranno altre occasioni per fare fesso il Bramb.

Tutta la storia potrebbe sembrare troppo carica di negatività; purtroppo è quello che ho visto accadere già troppe volte.
Ai posteri l’ardua sentenza…

Novella 24

“什么事?”

«Che c’è?»

“少跟我贫嘴。你明白我说的什么事。”

«Ma piantala. Lo sai benissimo di cosa sto parlando.»

  • 贫嘴 (Pínzuǐ) “loquace”

“我就没听您说过,什么事靠得住。”小瞎子又偷偷地笑。

«Non ti ho mai sentito parlarne prima, niente di concreto.» Il ragazzo si concesse un segreto sorriso.

  • 靠得住 (kàodézhù) “affidabile”, come 可靠

老瞎子没理他,骨头一样的眼珠又对着苍天。那儿,太阳正变成一汪血。

Il vecchio lo ignorò, mentre nuovamente volgeva al cielo i suoi occhi simili a ossa. Lassù, il sole si stava trasformando in una polla di sangue.

  • (lǐ) significa un sacco di cose e viene usato qui nell’accezione 不理+oggetto (Bù lǐ) che significa “Ignorare, non dare peso a”

两面脊背和山是一样的黄褐色。

Entrambi i lati della schiena e la montagna erano dello stesso colore giallo ocra.

一座已经老了,嶙峋瘦骨象是山根下裸露的基石。

Un vecchio e rugoso elefante fa da nudo basamento tra le radici della montagna.

  • 嶙峋 (línxún ) “rugoso”
  • 瘦骨 (shòu gǔ ) “magrissimo”
  • (xiàng ) “elefante”
  • 裸露 (luǒlù ) “scoperto, esposto, messo a nudo”
  • 基石 (jīshí) “fondamenta, pietra angolare”

另一座正年青。老瞎子七十岁,小瞎子才十七。

L’altro era giovane. Il vecchio aveva settant’anni, il giovane diciassette.

小瞎子十四岁上父亲把他送到老瞎子这儿来,这是让他学说书,这辈子好有个本事,将来可以独自在世上活下去。

Quando il ragazzo aveva 14 anni il padre lo mandò dal vecchio per imparare a fare il cantastorie, in modo che avesse un mestiere, un modo per cavarsela una volta solo al mondo.

老瞎子说书已经说了五十多年。

Il vecchio aveva fatto il cantastorie per più di cinquant’anni.

这一片偏僻荒凉的大山里的人们都知道他:头发一天天变白,背一天天变驼,年年月月背一三弦琴满世界走,逢上有愿出钱的地方就动琴弦唱一晚上,给寂寞的山村带来欢乐。

Tra queste desolate montagne la gente lo conosce bene: capelli sempre più bianchi di giorno in giorno, schiena sempre più ingobbita fino a sembrare quella di un cammello, anno dopo anno, mese dopo mese a portare il suo violino in giro per il mondo; dovunque ci sia pubblico pagante lui farà cantare il suo violino tutta la notte, portando gioia agli sperduti villaggi di montagna.

开头常是这么几句:“自从盘古分天地,三皇五帝到如今,有道君王害黎民。

La sua introduzione è sempre uugale: “Fin da quando Pangu ha diviso il mondo, dall’era dei tre sovrani e dei cinque imperatori fino ad oggi, c’è stato un re che ha danneggiato il popolo.

  • 盘古分天地 (Pángǔ fēn tiāndì) spesso 盘古开天 (Pángǔ kāi tiān) “Pangu divide cielo e terra”: uno dei miti cinesi della creazione, nel quale il gigante Pangu porta ordine nell’universo primordiale caotico separando il cielo dalla terra con un colpo della sua ascia.
  • 三皇五帝 (sān huáng wǔ dì) “tre sovrani e cinque imperatori”: i leggendari sovrani dei tempi più remoti, sineddoche per indicare i tempi antichi.
  • 黎民 (límín) “il popolino, il popolo comune”

轻轻弹响三弦琴,慢慢稍停把歌论,歌有三千七百本,不知哪本动人心。”

Si sfiora il violino, ci si ferma a discutere delle storie, ce ne sono 3.700 e non so quale ti potrà toccare il cuore.”

于是听书的众人喊起来,老的要听董永卖身葬父,小的要听武二郎夜走蜈蚣岭,女人们想听秦得莲。

Qui gli spettatori iniziavano a gridare: quelli anziani volevano sentire la storia di Dong Yong che vendeva il corpo per seppellire suo padre, quelli giovani volevano sentire Wu Erlang andare di notte sulla cresta del Centopiedi, e le donne volevano sentire di Qin Delian.

  • 董永卖身葬父 (Dǒng yǒng màishēn zàng fù) La storia di Dong Yong, un giovane che perse la madre e successivamente anche il padre. Dong Yong vendette il suo corpo a una ricca famiglia come schiavo in cambio delle spese del funerale.
  • 武二郎夜走蜈蚣岭 (Wǔ èrláng yè zǒu wúgōng lǐng): famoso episodio del classico 水浒传 (Shuǐhǔ zhuàn) “I Briganti della palude”
  • 秦得莲 (Qín Délián): la protagonista di un nota (e lacrimevole) romanzo d’amore ambientato ai tempi della dinastia Song settentrionale

How to f**k the white monkey for fun & profit 101: case study #3

Questo è un classicone, l’ho visto con i miei occhi già parecchie volte.
Ne avevo già parlato di sfuggita in un altro post, ma qui vorrei dare qualche dettaglio in più.
Per immedesimarci meglio un questo scenario mi inventerò un tipico imprenditore italiano, che chiamerò Mr. Brambilla.
Mr. Corrado Brambilla è fondatore e principale azionista della ditta Cobram (COrrado BRAMbilla, geniale, me lo dico da solo), che supporremo produrre accessori per la casa.
Il nostro eroe una notte di mezza estate fa un bel sogno, e la mattina dopo raduna tutti gli stagisti, co.co.co, consulenti e schiavi vari della sua fabbrichetta (accento da milanese imbruttito) perché ha deciso che vuole “Andare in Cina”.
Mr. Brambilla è ben conscio delle difficoltà, essendosi ampiamente consultato con i soci dell’associazione industriali, i quali hanno fatto a gara nell’esporre i propri successi nella Terra di Mezzo.
Tuttavia, avendo i braccini corti corti che praticamente le mani gli escono dalle ascelle, non intende investire più di tanto del suo prezioso capitale, figuriamoci, con tutta la fatica che ha fatto ad accumularlo a suon di dichiarazioni fasulle, frodi, sfruttamento dei dipendenti e bassezze varie.
D’altronde l’occasione è troppo ghiotta: davanti a sé tutto assume una consistenza evanescente e sembra svanire nel nulla, mentre campeggia un enorme striscione con scritto “Il mercato più grande del mondo“, e questo striscione gli blocca la vista, non riesce a vedere niente altro.
Probabilmente lo striscione gli entra anche nelle orecchie, perché il nostro imprenditore è sordo a qualsiasi obiezione.
A nulla valgono le caute proteste dei suoi sottoposti, che continuano ad annoiarlo con propositi senza senso quali costose ricerche di mercato, noiosi piani di fattibilità, addirittura fogli Excel pieni delle detestate pivot table, come se non lo sapessero che a lui che si è fatto da solo senza tutte queste stramberie elettroniche certe cose danno proprio fastidio.
Egli incede imperioso sulla moquette grigia degli uffici, attraversando i corridoi come come un treno imbizzarrito, come un cavallo deragliato, e niente potrà distoglierlo dal suo proposito e da tutti i soldoni che stanno per piovergli in tasca.
Aggiungiamo che l’idea di mandare i suoi schiavetti all’altro capo del mondo a farsi le vacanze pagata a sue spese gli fa venire l’itterizia, perché si sa che appena un sottoposto esce dal suo cubicolo gli vengono idee strane tipo la trasferta pagata o (che il Cielo me ne scampi e sgombri!) l’aumento.
Ecco la soluzione, ecco il genio che ha distinto il Brambilla da tutti gli altri e lo ha fatto diventare un imprenditore: andrà lui stesso ad una fiera del settore, e lì cercherà un agente.
È l’uovo di Colombo! Costo risibile, tanto si sa che i cinesi lavorano per un tozzo di pane; ampi margini assicurati, perché si sa che in Cina il design italiano va di moda.
Detto fatto, il Brambilla si precipita in Cina. Il suo acume viene presto premiato, e presto una fila di aspiranti agenti fa la fila davanti a lui.
Resta solo da scegliere quello che pretende lo stipendio più basso. L’agente prescelto sarà chiamato Mr. W.
Al suo ritorno nel Bel Paese il Brambilla si frega le mani soddisfatto: questo sì che è un colpo gobbo! Mr. W è veramente disposto a lavorare per un tozzo di pane!
Passa un po’ di tempo. Il solerte Mr. W mette su un ufficetto in qualche posto in Cina e organizza una spedizione dalla casa madre, aiutato dai sottoposti italiani.
E poi un’altra! Ma quanto è bravo questo Mr. W! Magari i sottoposti italiani fossero tutti così, pensa il Bramby mentre si guarda attorno sconsolato…
A fine trimestre il Brambilla freme dall’eccitazione mentre ordina di calcolare i lauti guadagni realizzati in Cina. Con mani tremanti si accinge a leggere l’ultima cifra in basso al foglio stampato di fresco.
Ma cos’è ‘sta roba? C’è stato un errore! Preparare le ghigliottine, qui rotoleranno delle teste!
Ma di errore non si tratta. Non di un errore di calcolo, almeno. Sta di fatto che i tanto fantasticati margini non sono enormi come si credeva, anzi non sono nemmeno accettabili, diciamoci pure che sono risibili!
Come è possibile? Si chiami subito quel traditore di Mr. W. per una esauriente spiegazione!
Mr. W., poveretto, accampa scuse dopotutto plausibili: i prodotti sono nuovi, è difficile piazzarli, c’è tanta concorrenza, bisogna abituare la gente al prodotto, eccetera, eccetera.
Vabbè, mugugna il Brambilla, intanto le vendite ci sono… è già un inizio, non può che migliorare.
E magari la situazione migliora, certo. Ogni tanto una vendita andata a buon fine fa palpitare il Brambillesco corazon, e intanto le spedizioni proseguono con ritmo stabile e serrato.
Quello che il Brambilla non immagina è che la maggior parte delle vendite sono effettuate per pochi soldi ad una o più società fittizie di proprietà di Mr. W e dei suoi familiari.
Le vendite con i margini alti non sono che dei contentini che l’astuto Mr. W. ogni tanto elargisce al nostro imprenditore solo per convincerlo a continuare la commedia.
Intanto i margini rimangono nelle capaci tasche dell’agente, e se il mercato risponde bene ci sarà tempo per mettere su una fabbrichetta e produrre accessori identici a quelli Brambilleschi, con tanto di marchi e certificati di garanzia.
Finché la cosa va avanti lasciamola andare, è la filosofia di Mr. W.
Cosa succederà quando e se il Bramb si accorgerà dell’inganno?
Mr. W. non ci pensa nemmeno. Per intanto si fanno soldoni, si acquista notorietà ed esperienza, si allacciano preziosi contatti, insomma ci si fa un nome di tutto rispetto.
E poi quel che sarà sarà, alla peggio andrà tutto a gambe all’aria e si ricomincerà da un’altra parte.
La Cina è grande e di Brambilli è piano il mondo.
Cosa potrà mai fare il Bramb?
(hint: NIENTE)

How to f**k the white monkey for fun & profit 101: case study #2

Eccoci qui per la seconda puntata della nostra divertente rubrica.
L’argomento di oggi è la registrazione del marchio, argomento di cui si era già parlato qui.
Per farla breve, nel Celeste Impero la tutela della Proprietà Intellettuale esiste e funziona, ma attenzione!
Non è che siccome io mi chiamo Prada allora ho diritto di prelazione sul marchio. Invece, vince chi arriva prima!
Per esempio se ancora non fosse stato fatto da nessuno, nulla vieterebbe ad un qualsiasi Celeste di andare all’ufficio brevetti e registrare il marchio “NASA” oppure “Apple” come se fosse roba sua.
In effetti questo è proprio quello che è successo per iPhone e iPad, e Apple ha dovuto pagare fior di milioni per avere il diritto di usare i propri marchi nella Terra di Mezzo (approfondimenti sull’incredibile vicenda sono disponibili a palate, per esempio qui, qui e qui ).
Questo principio viene abitualmente sfruttato da patent troll professionisti agguerritissimi che registrano marchi stranieri a camionate, sognando il momento in cui potranno raccogliere i frutti delle loro fatiche.
Sento qualcuno dalle file alte della platea urlare “Ma quali fatiche! Sono tutti imbroglioni!”
Eehhh… si fa presto a dire imbroglioni… dipende dai punti di vista.
Dal loro punto di vista si tratta di un lavoro come un altro. il sistema lo permette, perché non approfittarne?
È come dire ad un tassista italiano che si sta approfittando della sua posizione per estorcere tariffe astronomiche, oppure dire ad un politico italiano che non si fa cadere il governo solo per interessi personali, e allora? Chi è l’imbroglione?
Comunque, politici a parte, dura è la vita di chi volesse cautelarsi contro i patent troll.
Non esistono siti gratuiti per fare ricerche, a parte cose come China Trade Mark Office che però offre delle funzionalità piuttosto limitate.
Una ricerca seria può essere condotta solo da uno studio legale, e anche lì sono soldoni.
Nel frattempo il troll accumula registrazioni di marchi, accumula, accumula fino al momento in cui il legittimo proprietario del marchio decide di muoversi sul mercato cinese… allora sì che inizia il pianto e lo stridor di denti.
Ora per le aziende del calibro di Apple il problema si pone dal punto di vista degli investimenti e dei profitti, della serie: “Quanto sono disposto a pagare per avere accesso al mercato cinese che è il più grande del mondo eccetera, e quanti soldoni ci potrò ricavare?”.
La musica è diversa per chi non sia un titano dell’Olimpo, anche se qualcuno ci si mette lo stesso: è il caso di Manolo Blahnik, di cui da vero ignorante di tendenze di moda ho scoperto l’esistenza grazie a questo articolo sul Corriere.
Fermiamoci un momento ad osservare un minuto di silenzio: 22 anni? VENTIDUE ANNI?

V E N T I D U E   A N N I  ? ?

How to f**k the white monkey for fun & profit 101: Introduzione e primo case study

Vorrei oggi iniziare una serie di post raccontando vari imbrogli a cui ho avuto il privilegio di assistere qui nel Regno Di Mezzo.

Vorrei però fare una premessa, e cioè che si tratta di “prove circostanziali“, cioè non provano con certezza la colpevolezza di nessuno e in particolare modo non puntano nessun dito contro caratteristiche specifiche di nessun popolo in particolare.

In soldoni: io queste cose le ho viste in Cina perché ci abito, ma sicuramente succedono in ogni altra parte del mondo.

Bando agli indugi e andiamo ad incominciare con il primo e senza dubbio più diffuso caso.

La copia del prodotto

Chi non ha sentito parlare della “copia cinese”?

I cinesi copiano tutto, ormai questa frase è entrata di prepotenza nella coscienza collettiva dell’intero pianeta.

Secondo me però manca un pezzo. La frase completa dovrebbe essere:

I cinesi copiano tutto e producono la stessa cosa a minor prezzo.

Parliamoci chiaro, senza le copie cinesi ci ritroveremmo tutti a pagare cifre improponibili per qualsiasi cosa.

Il grido unanime che da anni rimbalza su tutti i media non è che una delle sfaccettature del cristallo; guarda caso quello che viene stigmatizzato è proprio quello che fa comodo alle persone normali, ma che dà molto, anzi moltissimo fastidio a chi tiene le redini del gioco.

In realtà c’è molto di più in ballo, infatti al grido aggiungerei un ulteriore pezzo:

I cinesi copiano tutto e producono la stessa cosa a minor prezzo mandando all’aria i piani di multinazionali e avidi imprenditori.

Già mi sembra di sentire in risposta la solita fila di strilli, sempre gli stessi:

  1. “Ci rubano il lavoro!”
  2. “Fanno concorrenza sleale!”
  3. “Si prendono il nostro Know-How!”

Ebbene cari, preziosi lettori: al 99% è colpa nostra.

Questo “colpa nostra” chiaramente non è colpa delle persone normali che lavorano e che non hanno voce in capitolo; piuttosto dovrei dire per dire “colpa dell’occidente”, o meglio “colpa degli imprenditori occidentali”, in quanto sono stati loro ad inventarsi la globalizzazione.

Alla ricerca di profitti sempre più imponenti generazioni di industriali hanno creato una bestia senza testa che ha sfasciato mercati, famiglie e intere nazioni.

Certo sembrava una bellissima idea. Me lo immagino il consiglio d’amministrazione, tutti a grattarsi la testa perché non saltavano fuori i soldi per farsi lo yacht o l’elicottero. Finché a qualcuno non si è accesa la lampadina sopra alla testa: “Ci sono! È semplicissimo! Spostiamo la produzione in qualche Paese di straccioni che si accontentino di lavorare per due lire, così noi qua vendiamo allo stesso prezzo di prima e diventiamo miliardari”.

Applausi scroscianti. Lo stagista: “Come la mettiamo con le leggi che regolamentano l’inquinamento, i diritti dei lavoratori eccetera?”

Amministratore delegato: “Tanto là non hanno tutte queste leggi, e poi siamo comunque già esperti nello sfruttare buchi e loophole legali di tutti i tipi a suon di mazzette.”

Stagista: “Sì ma il fatto che le leggi in Cina magari su certi aspetti sono più permissive potrebbe rivoltarsi contro di noi quando sarà il momento di difendere la nostra proprietà intellettuale!”

Amministratore delegato: [preme un bottone]

Stagista: “Auggghhh!!” [sparisce dentro ad una botola]

Questo vale non solo per l’Italia e la Cina ma anche per tutti gli altri , chiaramente, dove il “cummenda” di turno ha pensato di essere più avanti degli altri.

Certo gli operai che hanno perso il lavoro nel Paese di origine hanno incominciato a soffrire subito, all’inizio del processo, ma tanto cosa vuoi che sia… bisogna stare al passo con i tempi, il mondo va avanti, chi si ferma è perduto, la concorrenza, le tasse, governo ladro e tutte le altre scuse per giustificare una cosa sola: i profitti.

Tutto bello, soldi a palate i primi anni, peccato che la cosa ora gli si sia ritorta contro e ora gli stessi sedicenti imprenditori dopo essersi fatti ville e yacht ora piangono come maiali sgozzati dando la colpa ai “cattivi cinesi”.

Gli imprenditori e gli industriali insorgono: “Facile sparare a zero contro di noi, visto che sei tanto furbo diccelo tu cosa dovevamo fare contro la concorrenza, le tasse, governo ladro, &c.”

Ma che volete da me, io sono solo un pirlotto che scrive sul suo blog, di certo non posso essere io a darvi soluzioni o assoluzioni.

Quello che so è che la musica era questa: “Vieni, vieni, mettila qua la tua fabbrichetta, ti vendiamo il terreno per poche noccioline e non ti facciamo pagare tasse per tre anni, facciamo la Joint Venture e ti tieni anche il 51%”…

Beh io un pochino pochino mi sarei insospettito. Non vi era proprio manco passato per l’anticamera del cervello che questi qua poi avrebbero imparato a fare le stesse cose e avrebbero aperto un’altra fabbrichetta proprio uguale di fianco alla vostra?

Indovina un po’, è successo proprio questo, e se dovessi scegliere una scontata massima di saggezza popolare per rispondere a certi strilli da checca direi: “Chi è causa del suo mal pianga se stesso”.

Comunque, tanto per continuare con le massime popolari, inutile piangere sul latte versato. Piuttosto, recentemente sono emersi peraltro delle interessanti tendenze a sfruttare la cosa a proprio vantaggio da parte proprio delle aziende straniere.

Pare che qualcuno, stufo di vedere i propri prodotti apparire sul mercato a prezzi stracciati, si sia messo a diffondere dei design preliminari chiedendo degli studi di fattibilità.

In questi casi la macchina delle copie cinesi si mette in moto alla velocità della luce e il design preliminare viene prototipizzato, industrializzato, vengono corretti eventuali errori, migliorate le prestazioni, ed ecco che in men che non si dica il prodotto finito appare sul mercato cinese grazie ad Aliyun, Taobao et similia.

A questo punto i proponenti originali non devono fare altro che comprare direttamente le copie cinesi e diffonderle sul mercato della propria nazione, avendo così risparmiato tempo e denaro. Neat!

Un’altra astuta contromossa per proteggere i propri prodotti invece consiste nel mandare in Cina disegni profondamente sbagliati, che portino a prodotti a malapena funzionanti, solo per dare un po’ di fumo negli occhi alla concorrenza cinese e intanto sviluppare altrove il proprio design di qualità nettamente superiore che può a questo punto apportare lustro e profitti all’azienda.

Also neat, direi…

panino

Ecco qui una storia capitata abbastanza in là nel passato, tanto da poter essere raccontata senza timori di rappresaglie.

È una storiella di ingenuità e di “reverse cultural shock”, con dei contorni inquietanti riguardo la deprimente situazione del substrato industriale nella nostra povera Terra dei Cachi.

All’epoca facevo il grande Manager in un sito produttivo cinese di un’azienda italiana.

Come era prassi in quei tempi, c’era un continuo andirivieni di colleghi italiani che venivano a farsi la vacanzetta con le scuse più improbabili.

Gli alti papaveri reggevano loro bordone molto volentieri, essendo terrorizzati notte e giorno dal pensiero non poter mantenere il controllo visivo sulla filiale del Celeste Impero. Certo mandare qualche tirapiedi non era la soluzione più preferibile, ma sempre meglio che avere uno sconosciuto a gestire la “fabbrichetta” in completa autonomia, brrr che paura!

Ora succede che normalmente questi colleghi alloggiavano nell’unico albergo della città che avesse una qualche pretesa di internazionalità, vale a dire scarichi della doccia funzionanti, caffé a colazione, eccetera (per approfondimenti si veda il post sugli alberghi in Cina).

Purtroppo questo albergo stava a distanza considerevole dal suddetto sito produttivo, un inconveniente che regolarmente agli inizi del processo di investimento nell’Impero viene considerato di poco conto, soprattutto paragonato ai concreti vantaggi della cosiddetta “zona industriale”: solitamente una landa maledetta sperduta in mezzo a qualche deserto ma dove i costi sono ridicoli e le tasse assenti (per i primi 3 anni o giù di lì).

La conseguenza si concretizzava in un fitto andirivieni di taxi da e per l’albergo, cosa che chiaramente incideva parecchio sull’effettivo tempo passato in azienda dal personaggio di turno ma che ci vogliamo fare, tanto si sapeva dall’inizio quanto a tutti piacesse questo genere di vacanza.

Il problema vero era che le spese di tutto questo erano a carico del sito produttivo cinese, i.e. chi doveva fare quadrare il budget ero io e il fatto di dover pagare le vacanze in albergo a chicchessia mi indisponeva non poco.

Portando in scena il mio (considerevole, lo ammetto) carico di ingenuità di cui si parlava all’inizio, mi ero adoperato quindi per trovare un albergo più vicino al sito produttivo, e dove una camera si potesse prendere a prezzi (diciamocelo pure) “cinesi”.

Dopo avere chiesto in giro, alla fine la mia orbita mi aveva portato in uno stupendo, almeno ai miei occhi, albergo tipicamente cinese, vale a dire lastricato di marmi pregiati (ma finti), ornato da imponenti sculture (di cartongesso) e servito da una folta schiera di personale dalle impeccabili uniformi.

Ora solitamente gli inservienti degli alberghi del Celeste Impero si presentano sì numerosi e fasciati in sfarzose uniformi, per poi però rivelare ben poca competenza rivelandosi quasi sempre assunti il giorno prima e comunque poco disposti alla collaborazione. La cosa che mi aveva colpito di più di questo albergo era invece che tutti sembravano super professionali e ansiosi di avermi come cliente, cosa forse dovuta al fatto che probabilmente fino a qual momento avevano visto degli stranieri solamente in cartolina.

Le camere poi erano assolutamente convincenti: docce pulite e funzionanti, televisione con mega schermo , sfarzosi tendaggi alle finestre… Il pacchetto completo insomma.

Va detto che la televisione aveva solo canali in cinese, ma mi sembra di ricordare che ci fosse anche HBO o qualcosa del genere.

Tutto contento avevo subito organizzato una “convention”, assicurandomi prezzi scontati a fronte di un utilizzo regolare; di seguito avevo avvisato la madrepatria, millantando concreti vantaggi, risparmio di tempo e denaro, insomma risi, bisi e petardi con coriandoli.

Passa un po’ di tempo, ed ecco per qualcuno dal Bel Paese arriva il momento delle vacanze in Cina.

“Molto bene”, dico io, “mando l’autista a prenderti in aeroporto.”

Primo errore: non sono andato di persona in aeroporto. Ma insomma questo qua arrivava tardi, i’ tengo famigghia, l’aeroporto era lontanissimo… Un vecchio amico era venuto a trovarmi. Mi avevano rubato la macchina. Un terremoto! Una terribile inondazione! Locuste! Non è stata colpa mia! (vado a memoria, grandissimo John Belushi)

Fossi andato io di persona avrei forse potuto mitigare, negoziare.. o forse no, chissà.

Secondo errore: ho tenuto il cellulare acceso tutta la notte.

Fu veramente un errore? Oppure già mi aspettavo che succedesse qualcosa? Sagacia preventiva?

Fattostà che verso le 23 ricevo una chiamata da fisso, e con occhi impastati dal sonno (di solito vado a letto molto presto) mi ritrovo nel buio a fissare sul display il numero dell’albergo.

Vabbè taglierò corto sugli squittii da primadonna che mi sono dovuto sorbire quella sera, praticamente era successo che il nostro eroe dei due mondi era arrivato in albergo affamato e non era riuscito a comunicare le sue pene al personale.

(Una successiva investigazione scoprirà che dopo avere intuito che le cucine dell’albergo erano chiuse, ad un certo punto si sia messo nella hall ad urlare “Un panino! Hamburger! Panino!”)

Il nostro personaggio si era quindi scapicollato all’esterno credendo di trovare chissà quali viali illuminati dalle insegne di McDonald’s, KFC e simili, per trovarsi invece avvolto dalle più minacciose tenebre.

Solo chi ha camminato di notte per le periferie cinesi può capire cosa intenda, comunque basti dire che anche fuori dall’albergo il novello Conte Ugolino non trovò di che soddisfare le sue brame. Personalmente però non credo che abbia fatto tanta strada all’esterno, perché so per certo che voltato l’angolo c’era almeno uno di quei convenience store aperto 24h tipo 7/11.

Morale, dopo avere dovuto dovuto ingoiare una fila di rospi sono dovuto andare a prelevarlo di persona da questo “ignobile postaccio” e portarlo al “solito” albergo, quello di sempre, e ristabilire l’antica consuetudine.

Molte e diverse sono le vicissitudini seguite a questo episodio, ma questo post è già troppo lungo; forse prima o poi ne farò seguire un altro.