Tutti sanno che internet in Cina è censurato, anche se come al solito la versione ufficiale parla di armoniosa cooperazione, con interi papiri di retorica socialista che in questa modesta sede non stiamo ad esaminare.
Fattostà che facebook in Cina è bloccato, e così pure youtube, varie testate giornalistiche inglesi ed americane, blogger, HRW, Amnesty, splinder, eccetera eccetera.
Il web all’interno della cina è pure soggetto ad accurata censura: sulle pagine Web cinesi non sono permesse parole come “protesta”, “diritti umani”, “dittatura”, “dispotismo”, “oppressione”, vari nomi propri di dissidenti, Falun gong eccetera eccetera, tutte cose che cautamente scrivo in italiano per evitare di essere censurato anche io
I soliti maligni mormorano che in alcuni casi non si tratta affatto di salvaguardare le virtuose menti cinesi dalla contaminazione delle ideologie occidentali, ma che invece sia questione di soldi e basta.
In fondo è logico… Perché lasciare che dei grassi americani (va bè, magari non sono tutti grassi, ma rende bene l’idea) si accaparrino uno dei maggiori mercati del mondo quando ci sono soldi a palate da fare per gli imprenditori cinesi?
Basta copiare le idee che funzionano, fare la versione cinese, poi bloccare quella straniera, e il gioco è fatto, non si può sbagliare.
Del resto il trucco ha funzionato perfettamente con il famigerato QQ, nato come spudorato clone di ICQ (quest’ultimo oramai quasi caduto in disuso, a quanto ne so).
Tra parentesi vorrei consigliare a tutti quelli che studiano la lingua cinese di installare immediatamente QQ e incominciare a chattare con i cittadini del Celeste Impero. Lo so che QQ è un “virus magnet”, ma volendo c’è anche la versione web che funziona da browser senza bisogno di installare niente.
Comunque, ecco quindi nascere i vari cloni dei siti americani, per esempio 开心网 (kāixīnwǎng) Kaixin, cioè il clone cinese di facebook; 优酷 (yōukù) Youku, il clone di youtube.
In realtà di siti video streaming ce ne sono molti, per esempio 土豆网 (tǔdòu wǎng) Tudou, 56.com solo per citare i due che vanno per la maggiore.
Visto che l’idea funzionava così bene, a questo punto non poteva mancare il clone di twitter; infatti il twitter americano è stato prontamente bloccato, e immediatamente molti siti hanno incominciato a proporre la loro versione di microblog, o come lo chiamano loro: 微博 (wēibó).
I più gettonati sono quello del portalone 新浪 (xīnlàng) sina.com, nonché lo stesso QQ, 搜狐 (shōuhú) souhu e compagnia cantante.
In questi ultimi mesi (beh, sarà un annetto ormai), a causa di questi microblog il panorama di internet in Cina ha subito una specie di rivoluzione.
Le caratteristiche dei “tweets” sono la velocità, la concisione e l’essere presenti dovunque, non solo sui computer ma sui cellulari (e questo significa proprio TUTTI, “everyone and his dog”).
Ecco combinata la frittata: come la censuri una cosa del genere?
Come fai ad imbrigliare uno tsunami di miliardi di messaggini che sgusciano dappertutto alla velocità della luce e portano alla luce verità compromettenti?
Lasciamo stare la critica al governo, crimine che comunque nessuno si sognerebbe mai di commettere (tanto non servirebbe a niente).
Però tutto il sottobosco di corruzione, abusi di potere, pratiche ai limiti della legalità e varie pastoie che finora i cittadini hanno dovuto subire passivamente, ora viene portato alla luce in modo sempre più prepotente tramite questo nuovo modo di comunicare che supera anche i limiti della censura.
Due esempi che valgono per tutti.
1)
我爸是李刚 (wǒ bà shì Lǐ Gāng).
Questa frase è sulla bocca di tutti, e sottolineo tutti nel senso che è un “chinese internet meme“.
La storia in breve è quella di un figlio di papà che ubriaco alla guida della sua macchina di lusso investe due ragazzine, uccidendone una.
Bloccato dai passanti mentre se ne andava senza nemmeno fermarsi, si difende urlando “Provate a fare qualcosa, tanto mio padre è Li Gang”, pensando che come al solito il solo pronunciare nome del potente padre bastasse a risolvere tutto.
Qualche anno fa la cosa sarebbe stata immediatamente insabbiata, i genitori delle vittime azzittiti con offerte di denaro, il colpevole libero come un uccellino. Normale amministrazione, niente di cui stupirsi.
Ora invece è successo che i presenti, cellulare alla mano, hanno fotografato tutto per poi pubblicare l’avvenimento in una miriade di post che sono rimbalzati da un angolo all’altro della Cina.
“Mio padre è Li Gang” è diventato uno slogan riproposto e trasformato in mille forme. Ci hanno fatto anche delle canzoni, alcune anche abbastanza carine.
La questione comunque non si chiuderà in maniera felice, non è possibile, ma comunque stavolta il bulletto non l’ha fatta franca come sarebbe successo in passato.
2)
Altro esempio: il signor 钱运会 (Qián Yùnhuì), capo di un villaggio di campagna che ha lottato per anni contro la vendita illegale di terreno agricolo per speculazione industriale.
Questo (eroico) signore si è battuto per difendere i diritti dei suoi concittadini, è stato oggetto di persecuzioni, è stato gettato più volte in carcere ingiustamente, e alla fine è stato trovato morto sotto alle ruote di un camion.
Normalmente la cosa sarebbe finita lì: terreni finalmente in possesso allo speculatore di turno, la morte spiegata come un banale incidente, nessuno sa niente, tutti contenti.
E invece… un telefonino ha scattato delle foto dell’accaduto, le foto sono finite su internet, i messaggini sono volati, e ora tutti sanno tutto.
Chi non vive qui non può capire cosa vuol dire quando un fatto diventa argomento di discussione a livello nazionale.
Tutti i giornali, tutti i canali ne parlano; si formano tavole rotonde, commissioni di indagine, scattano i gruppi di “flesh hunters” che rintracciano nomi e cognomi, insomma diventa “viral”.
E a volte giustizia viene fatta, come nel caso del funzionario che si becca 13 anni di carcere perché il suo diario è finito online.
Stiamo forse assistendo alla nascita di una nuova forma di democrazia?
Oppure è solo la versione cinese del Gabibbo?
Ai posteri l’ardua sentenza.