traffico 2

Del traffico cinese ho già scritto in precedenza.
Dopo il recente viaggio ritengo di poter aggiungere un ulteriore capitolo sull’argomento.
Ecco quindi alcuni utili consigli per chi decidesse di intraprendere un viaggio in macchina sulle strade statali in Cina.
Al di fuori delle città cinesi le strade sono dominio incontrastato dei camion.
Generalmente di colore blu, sono caricati senza eccezione fino a ben oltre qualsiasi limite ragionevole con tutti i materiali che si possono immaginare, ma principalmente, nell’ordine: pietroni, ghiaia, terra, spazzatura, misteriosi macchinari, poi tutto il resto.
Immagino la consuetudine sia questa: alla partenza il camion viene caricato formando una piramide alta 20 metri, poi prima di uscire dalla porta principale i sobbalzi in cortile riducono il mucchio ad una decina di metri; durante il primo chilometro l’altezza si riduce ad un paio di metri, e il resto dell’eccesso viene perso durante il viaggio.
Per questa ragione è altamente sconsigliabile viaggiare dietro ad un camion, altrimenti si corre il pericolo di venire colpiti da pietroni, ghiaia eccetera.
Per essere completamente sicuri, è meglio anche evitare di stare davanti o di lato ad un camion.
Non esiste forza al mondo che possa fare deviare un camion dalla sua traiettoria, a parte i secondi nella classifica dei padroni della strada: i pullman.
In Cina, per consuetudine, quasi ovunque chi ha bisogno di salire su di un pullman non deve fare altro che sistemarsi al bordo della strada in un qualsiasi punto e agitare la mano quando vede il mezzo di suo interesse.
Parimenti, chi deve scendere parla con l’autista e negozia un punto che non sia troppo fuori dal percorso prestabilito e non troppo lontano da casa propria.
Morale, non c’è modo di prevedere quando un pullman in movimento potrà inchiodare oppure quando un pulman fermo scatterà in avanti. In entrambi i casi, la decisione viene presa senza prendere in considerazione fattori esterni fastidiosi come eventuali altri veicoli nelle vicinanze, e nel 90% dei casi, senza mettere la freccia.
Altro protagonista del dramma è il 面包车 (miànbāochē), cioè i minibus o furgoncini che dir si voglia, chiamati così perché la forma ricorda il classico pane a cassetta.
Il 面包车 ha solo due marce: “troppo lento”, e “troppo veloce”. In città mettono sempre “troppo veloce”, mentre fuori hanno sempre “troppo lento”.
In entrambi i casi, il guidatore sfoggia per tutto il tempo un sorriso di piena soddisfazione, come una specie di estasi mistica.
E questi sono i casi “normali”; non me la sento di includere in questa categoria i trabiccoli dei contadini, che meritano un discorso a parte.
Come definirli? Ce ne sono di tutte le forme, coperti o scoperti; a quattro, tre o due ruote; con zero, uno o più rimorchi; uno, due, tre o più posti a sedere.
Uniche caratteristiche comuni a tutti: sono completamente ricoperti di fango misto a grasso, non hanno luci di nessun tipo e hanno la tendenza a balzare fuori all’improvviso da stradine laterali invisibili, di notte, senza guardare prima da nessuna parte.
In una parola, sono un incubo.
Non esiste viottolo di montagna talmente remoto da essere al sicuro dai trabiccoli dei contadini: il pericolo è sempre in costante agguato.
Per completare il quadro delle strade notturne, aggiungiamo le “misteriose figure in nero”.
Non sono sicuro del loro preciso aspetto perché le ho sempre viste di sfuggita, illuminate dai fari della macchina per una frazione di secondo; sospetto comunque che siano abitanti dei villaggi di montagna che in piena notte e nell’oscurità più totale, non hanno di meglio da fare che sedersi sui paracarri delle strade, in curva, vestiti di nero, a 20 centimetri dalla carreggiata.
Bisogna premettere che l’alternativa a questo comportamento apparentemente irrazionale sarebbe rimanere in casa a guardare la televisione cinese, il che potrebbe effettivamente causare una certa tendenza suicida.
Ogni tanto, giusto per evitare che la monotonia del viaggio prenda il sopravvento, ci sono i sorpassi.
Mi riferisco alla seguente situazione: un carretto che va a 2 kmh, soggetto a sorpasso da parte di un trabiccolo; sopraggiunge un camion, che a sua volta sorpassa. Arriva un pulman il quale, ovviamente, sorpassa pure lui.
L’allegra compagnia occupa tutte e 4 le corsie della pur larga strada.
Tu, omino bianco, ignaro alla guida del tuo veicolo, dopo una apparentemente innocente curva te li trovi davanti all’improvviso; tutti si mettono a strombazzare e sfanalare minacciando di travolgerti in zero secondi.
Che fai?
La prima volta mi sono bloccato sul bordo della strada, praticamente accucciato come un cagnolino impaurito e ho aspettato frignando che la carovana passasse alle mie spalle.
Poi mi sono reso conto che, data l’allarmante frequenza del ripetersi di questa situazione, questa strategia avrebbe allungato i tempi del viaggio in maniera considerevole.
Una più approfondita analisi ha rivelato che mostrando una adeguata sfacciataggine e sprezzo del pericolo, l’omino bianco riusciva spesso a guadagnarsi uno spazietto per passare.
La faccio breve: alla fine mi sono trasformato in un mostro, pregustando il momento del successivo sorpasso per dare fiato alle trombe e abbagliare tutti con i fari della MIA macchina, accelerando incontro al nemico in rotta di collisione, in una spericolata gara di coraggio per vedere chi cedeva per primo.
Devo dire che gli altri occupanti della macchina però non gradivano molto.

inverno

L’inverno è arrivato Anche qui . Oggi è il 18 novembre, e da una settimana mi sto crogiolando in temperature miracolosamente al di sotto dei 30 gradi.
Forse mi sto crogiolando un pò troppo, visto che mi sono preso il raffreddore, però il primo giorno di fresco era imperdibile, me lo sono voluto godere tutto in maglietta, con le ovvie conseguenze.
La prima e più grande novità è che non si suda, quindi non si torna a casa fradici ogni giorno.
La seconda è che le zanzare sono sparite.
Le più resistenti, quelle col cappotto, ci hanno messo un pò ma alla fine ho definitivamente tolto la zanzariera dal letto.
Mi dicono che in Italia fa freddo; quell’Italia che nella mia (bacata) memoria è sempre associata a profumo di pane fresco e olio d’oliva, e ora sta per venire ridotta ad una giungla fumigante da un manipolo di arroganti e viscidi politicanti.
Mi si consenta un attimo di calcolata malinconia, ma quando leggo il blog di Beppe, veramente mi cadono le braccia.
Torniamo a noi: siccome il Guangdong è un posto normalmente caldo, con solo un paio di mesi all’anno di freddo non troppo intenso, il concetto di riscaldamento non è molto recepito dalla popolazione.
Tutti dicono che basta mettere qualche strato di vestiario in più, alcuni si spingono addirittura a dirmi che in Italia fa molto più freddo che qui, e che dovrei quindi essere abituato.
Rispondo io, sì fa più freddo, ma dovunque c’è il riscaldamento!
Qui magari non fa tanto freddo, ma quel poco che c’è me lo becco tutto fin nelle ossa!
Morale, come diceva un personaggio mitico che ha transitato da queste parti in passato, “Il Guangdong è uno dei posti più freddi del globo”, come dargli torto?
In casa mia ho voluto almeno i condizionatori a doppia funzione, che d’inverno sparano aria calda.
In ufficio sfortunatamente questa funzionalità non è disponibile, per cui al momento indosso:

  1. maglietta di lana
  2. calzamaglia integrale (superpippo)
  3. Maglioncino
  4. camicia
  5. golf
  6. giacca

Praticamente un 米其林人 (mǐqílín rén) “Omino michelin”.

Miao

L’ultima tappa del viaggio e’ stata 岜沙村 (Bāshā cūn), un villaggio 苗族 (Miáozú) “Etnia Miao“.
Il nome del villaggio in lingua Miao significa “molta vegetazione”, in effetti la montagna è lussureggiante.
Fino a tempi relativamente recenti, la zona era accessibile soltanto a piedi, e quando dico piedi, intendo che non ci si arrivava nemmeno a cavallo.
Ultimamente il governo ha mostrato un interesse quasi ossessivo per i villaggi entnici e ha coperto tutti con una montagna di soldi, quindi ora c’è una bella strada che arriva fino al centro del paese, negozi, una piazza, e un sacco di macchine di turisti.
Attenzione, tanto meglio per gli abitanti, finalmente si possono scrollare di dosso la miseria di secoli e godere un po’ anche loro del “miracolo cinese”.
Questa gente si veste di 亮布 (liàngbù) come i loro cugini 侗 (Dòng), ma a differenza di questi ultimi, i Miao vestono esclusivamente di quello, anche quando vanno a lavorare nei campi (così dicono).
Gli uomini si rasano tutta la testa tranne un cerchio alla sommità, dove i capelli vengono lasciati crescere lunghi e raccolti in un codino; portano anche una specie di piccolo turbante.
Anche loro usano il 芦笙 (lúshēng) spesso e volentieri, e tutti (dico tutti, anche i bambini) portano un fucile; alla cintura hanno sacchetti con pallini e polvere da sparo.
Questa del fucile è una notizia sensazionale, infatti in Cina è proibito possedere armi; nemmeno i poliziotti girano armati, tranne il reparto speciale dei 武警 (wǔjǐng), la temuta “polizia armata”.
Per i Miao è stata fatta un’eccezione, considerando in primis che per loro è un costume radicato da tempo immemore, in secundis che si tratta di archibugi ad avancarica costruiti a mano, buoni al più per spaventare gli uccellini nei campi.
Ecco qualche foto, che conclude il ciclo dei post dedicati al viaggio.
Infatti da 岜沙 siamo poi tornati a casa, fermandoci a 桂林 (Guìlín) solo per passare la notte.


girls
flickr


villagers
flickr


kid (with gun)
flickr


risaie

Il villaggio di 堂安 (Táng’ān) è immerso in un bucolico paesaggio di terrazzamenti coltivati a riso, e offre una spettacolare veduta sulla valle di 肇兴 (Zhàoxīng).
Ho trovato stupefacente come ogni singolo metro quadrato di terreno disponibile venga sfruttato: ho visto piantine di riso in spazi non più grandi di due metri quadri!
Ecco qualche foto:






Link Flickr: link 1, link 2, link 3, link 4.

Nell’ultima foto si vedono chiaramente le piantine di riso poste ad essiccare.