How to f**k the white monkey for fun & profit 101: case study #5 (pt.1)

Per questa puntata ero quasi tentato di cambiare il nome del protagonista… povero Brambi, mi sembrava di averlo già tartassato abbastanza.
Quasi me lo immagino, me lo vedo davanti agli occhi: decisamente sovrappeso per non dire grassoccio, con un bel faccione bianco e rosso, stretto in un completo grigio chiaro di una misura troppo piccolo per lui.
Un po’ pelato, ma si fa il riportino; ha sempre con sé un fazzoletto perché suda in abbondanza anche d’inverno.
Ma non facciamoci prendere dai sentimentalismi, via, un’altra puntata sul nostro Brambillone nazionale!
È venuta un po’ lunga per cui la pubblicherò in due parti.
Comunque, il nostro eroe dopo averne prese un sacco e una sporta da Mr W. e Mr. Y. (vedi puntate 1, 2, 3 e 4 ) non se l’era presa poi troppo male; anzi se ne era fatta una ragione, si sa, gli affari sono affari, mica sempre va bene.
Il problema sono i suoi amici milionari, quelli che in Cina si sono arricchiti con le produzioni a basso costo e ora lo prendono in giro dovunque osi mostrare il suo rubicondo volto.
<voce da imbruttito> “Alura Brambilla, come va coi cinesini? Stai vendendo?” (pacca sulla spalla) </imbruttito>
Brambilla non ce la fa più. Non è possibile che tutti intorno a lui stiano nuotando nei soldi cinesi e lui invece abbia preso solo batoste.
Dopo lunghe elucubrazioni una soluzione si profila all’orizzonte. Nella sua mente ormai lo striscione del mercato più grande del mondo si è purtroppo miseramente afflosciato, sostituito però da uno ben più sgargiante e promettente: “ANDARE A PRODURRE IN CINA”!
Ora devo aspettare un attimo che si calmino le omeriche risate suscitate da questa frase, che andava così di moda qualche anno fa,
Il Brambilla non è mica l’ultimo arrivato, mica pretende di andare in Cina a mettere su una fabbrichetta.
Lo sa persino lui che ormai di trippa per gatti non ce n’è più… non sono più gli anni ’90 quando i canti delle snelle sirene cinesi dagli occhi a mandorla attiravano investimenti da tutte le parti del mondo, capannoni e siti produttivi spuntavano come funghi per sfruttare la monodopera locale a basso costo.
Piuttosto, ecco la scaltra alternativa: trovare una fabbrica cinese già avviata, e far loro produrre OEM il marchio COBRAM.
Ma è l’uovo di Colombo! Brambilla si tira i radi capelli: come non averci pensato prima?
Con tutte le fabbriche che ci sono in Cina, così golose di ordini dall’estero, così trepidanti nell’attesa di servire clienti occidentali!
Si prenoti immantinente un biglietto areo per la Cina!
La solerte segretaria non fa nemmeno in tempo a finire la prenotazione che il Brambilla già si precipita in aeroporto.
Inizia così la lunga trafila per trovare un fornitore in Cina: viaggi in lungo e in largo per le visite alle fabbriche, interminabili cene condite da innumerevoli brindisi con il famigerato 白酒 (báijiǔ) “baijiu”(*), e poi campioni da valutare, parametri da decidere, condizioni da specificare… non si finisce più.
Persino il Brambila ad un certo punto arriva al punto di non poterne proprio più; sta per gettare la spugna: quello che sembrava l’Eldorado si sta invece rivelando una insopportabile ordalia.
Ed ecco che ad un tratto succede il miracolo: si trova una fabbrica di tutto rispetto, sia pure sperduta in mezzo al nulla, che si dichiara entusiasta di produrre le carabattole COBRAM, e anche ad un prezzo stracciato!
Tanto stracciato da esser incredibile, come faranno a starci dentro?
Eppure i campioni inviati sono ineccepibili, i contratti parlano chiaro… Si proceda!
Presto le cupe nuvole della disperazione sono fugate dall’atmosfera degli uffici COBRAM, per essere sostituite da ottimistiche esternazioni: “Gliela facciamo vedere noi a quei tromboni dell’associazione industriali, ah!”, “Il Brambilla è arrivato in Cina”, ah! e via dicendo.
Con il passare delle settimane e dei mesi la situazione migliora a passi da gigante.
Finiti i tempi cupi dei profitti risicati al centesimo, era da anni che non si vedevano numeri del genere in fondo ai bilanci.
Persino i dipendenti sono passati dal tradizionale italico disincanto nei confronti dell’azienda ad un moderato ottimismo, addirittura i responsabili del “progetto Cina” sono soggetti a bonarie battute tipo “A te sì che va tutto bene” che sottintendono però la pronfonda invidia di chi non ne fa parte.
Il Bramb è al settimo cielo. Oramai è entrato nell’olimpo degli industriali, non lo ferma più nessuno.
Chi prima lo prendeva in giro ora lo approccia con le orecchie basse e gli fa i complimenti.
Diciamocelo: il Brambilla sta per scoppiare dalla felicità.
E come tutti, ma proprio tutti, nessuno escluso, il Brambilla non si accontenta.
D’altra parte dopo tante fatiche e tante perdite, una volta trovata la miniera d’oro perché non sfruttarla appieno?
Perché continuare a mantenere costosi dipendenti scansafatiche, complicati e fragili macchinari, perché continuare a pagare l’affitto di ormai vuoti capannoni quando conviene così tanto produrre in Cina?
Perché non trasferire tutta la produzione in Cina?
Arrivederci alla prossima puntata per l’inevitable catastrofe che sta per abbattersi sulla COBRAM.

Note:
(*) praticamente petrolio