How to f**k the white monkey for fun & profit 101: Introduzione e primo case study

Vorrei oggi iniziare una serie di post raccontando vari imbrogli a cui ho avuto il privilegio di assistere qui nel Regno Di Mezzo.

Vorrei però fare una premessa, e cioè che si tratta di “prove circostanziali“, cioè non provano con certezza la colpevolezza di nessuno e in particolare modo non puntano nessun dito contro caratteristiche specifiche di nessun popolo in particolare.

In soldoni: io queste cose le ho viste in Cina perché ci abito, ma sicuramente succedono in ogni altra parte del mondo.

Bando agli indugi e andiamo ad incominciare con il primo e senza dubbio più diffuso caso.

La copia del prodotto

Chi non ha sentito parlare della “copia cinese”?

I cinesi copiano tutto, ormai questa frase è entrata di prepotenza nella coscienza collettiva dell’intero pianeta.

Secondo me però manca un pezzo. La frase completa dovrebbe essere:

I cinesi copiano tutto e producono la stessa cosa a minor prezzo.

Parliamoci chiaro, senza le copie cinesi ci ritroveremmo tutti a pagare cifre improponibili per qualsiasi cosa.

Il grido unanime che da anni rimbalza su tutti i media non è che una delle sfaccettature del cristallo; guarda caso quello che viene stigmatizzato è proprio quello che fa comodo alle persone normali, ma che dà molto, anzi moltissimo fastidio a chi tiene le redini del gioco.

In realtà c’è molto di più in ballo, infatti al grido aggiungerei un ulteriore pezzo:

I cinesi copiano tutto e producono la stessa cosa a minor prezzo mandando all’aria i piani di multinazionali e avidi imprenditori.

Già mi sembra di sentire in risposta la solita fila di strilli, sempre gli stessi:

  1. “Ci rubano il lavoro!”
  2. “Fanno concorrenza sleale!”
  3. “Si prendono il nostro Know-How!”

Ebbene cari, preziosi lettori: al 99% è colpa nostra.

Questo “colpa nostra” chiaramente non è colpa delle persone normali che lavorano e che non hanno voce in capitolo; piuttosto dovrei dire per dire “colpa dell’occidente”, o meglio “colpa degli imprenditori occidentali”, in quanto sono stati loro ad inventarsi la globalizzazione.

Alla ricerca di profitti sempre più imponenti generazioni di industriali hanno creato una bestia senza testa che ha sfasciato mercati, famiglie e intere nazioni.

Certo sembrava una bellissima idea. Me lo immagino il consiglio d’amministrazione, tutti a grattarsi la testa perché non saltavano fuori i soldi per farsi lo yacht o l’elicottero. Finché a qualcuno non si è accesa la lampadina sopra alla testa: “Ci sono! È semplicissimo! Spostiamo la produzione in qualche Paese di straccioni che si accontentino di lavorare per due lire, così noi qua vendiamo allo stesso prezzo di prima e diventiamo miliardari”.

Applausi scroscianti. Lo stagista: “Come la mettiamo con le leggi che regolamentano l’inquinamento, i diritti dei lavoratori eccetera?”

Amministratore delegato: “Tanto là non hanno tutte queste leggi, e poi siamo comunque già esperti nello sfruttare buchi e loophole legali di tutti i tipi a suon di mazzette.”

Stagista: “Sì ma il fatto che le leggi in Cina magari su certi aspetti sono più permissive potrebbe rivoltarsi contro di noi quando sarà il momento di difendere la nostra proprietà intellettuale!”

Amministratore delegato: [preme un bottone]

Stagista: “Auggghhh!!” [sparisce dentro ad una botola]

Questo vale non solo per l’Italia e la Cina ma anche per tutti gli altri , chiaramente, dove il “cummenda” di turno ha pensato di essere più avanti degli altri.

Certo gli operai che hanno perso il lavoro nel Paese di origine hanno incominciato a soffrire subito, all’inizio del processo, ma tanto cosa vuoi che sia… bisogna stare al passo con i tempi, il mondo va avanti, chi si ferma è perduto, la concorrenza, le tasse, governo ladro e tutte le altre scuse per giustificare una cosa sola: i profitti.

Tutto bello, soldi a palate i primi anni, peccato che la cosa ora gli si sia ritorta contro e ora gli stessi sedicenti imprenditori dopo essersi fatti ville e yacht ora piangono come maiali sgozzati dando la colpa ai “cattivi cinesi”.

Gli imprenditori e gli industriali insorgono: “Facile sparare a zero contro di noi, visto che sei tanto furbo diccelo tu cosa dovevamo fare contro la concorrenza, le tasse, governo ladro, &c.”

Ma che volete da me, io sono solo un pirlotto che scrive sul suo blog, di certo non posso essere io a darvi soluzioni o assoluzioni.

Quello che so è che la musica era questa: “Vieni, vieni, mettila qua la tua fabbrichetta, ti vendiamo il terreno per poche noccioline e non ti facciamo pagare tasse per tre anni, facciamo la Joint Venture e ti tieni anche il 51%”…

Beh io un pochino pochino mi sarei insospettito. Non vi era proprio manco passato per l’anticamera del cervello che questi qua poi avrebbero imparato a fare le stesse cose e avrebbero aperto un’altra fabbrichetta proprio uguale di fianco alla vostra?

Indovina un po’, è successo proprio questo, e se dovessi scegliere una scontata massima di saggezza popolare per rispondere a certi strilli da checca direi: “Chi è causa del suo mal pianga se stesso”.

Comunque, tanto per continuare con le massime popolari, inutile piangere sul latte versato. Piuttosto, recentemente sono emersi peraltro delle interessanti tendenze a sfruttare la cosa a proprio vantaggio da parte proprio delle aziende straniere.

Pare che qualcuno, stufo di vedere i propri prodotti apparire sul mercato a prezzi stracciati, si sia messo a diffondere dei design preliminari chiedendo degli studi di fattibilità.

In questi casi la macchina delle copie cinesi si mette in moto alla velocità della luce e il design preliminare viene prototipizzato, industrializzato, vengono corretti eventuali errori, migliorate le prestazioni, ed ecco che in men che non si dica il prodotto finito appare sul mercato cinese grazie ad Aliyun, Taobao et similia.

A questo punto i proponenti originali non devono fare altro che comprare direttamente le copie cinesi e diffonderle sul mercato della propria nazione, avendo così risparmiato tempo e denaro. Neat!

Un’altra astuta contromossa per proteggere i propri prodotti invece consiste nel mandare in Cina disegni profondamente sbagliati, che portino a prodotti a malapena funzionanti, solo per dare un po’ di fumo negli occhi alla concorrenza cinese e intanto sviluppare altrove il proprio design di qualità nettamente superiore che può a questo punto apportare lustro e profitti all’azienda.

Also neat, direi…

6 thoughts on “How to f**k the white monkey for fun & profit 101: Introduzione e primo case study”

  1. Sta di fatto che non possiamo essere competitivi con i cinesi proprio perché giocano con regole diverse dalle nostre.

    È normale che gli imprenditori li vedano come il fumo negli occhi e addossino loro tutta la colpa.

    Anche tu se fossi un imprenditore e vedessi i tuoi prodotti copiati e venduti a minor prezzo avresti qualcosa da dire.

    1. Tutto vero: “non possiamo essere competitivi”, le “regole diverse”, “se fossi un imprenditore”…
      Questo è fuor di dubbio, e sarà sempre peggio con il passare del tempo.
      Se fossi un imprenditore probabilmente venderei tutta la baracca e me ne andrei a svernare alle Maldive, ma non lo sono.
      Sono solo un poveretto che scrive un blog che nessuno legge, giusto per lamentarsi un po’.

  2. ”e avrebbero aperto un’altra fabbrichetta proprio uguale di fianco alla vostra?”

    eheh
    Mi racconto’ una storia simile un napoletano che aveva una pizzeria in Sanlitun: aveva aperto una fabbrichetta di pomodori e conserve.
    Tutto bene per i primi mesi finche’ un giorno arrivo’ e non c’era piu’ nessuno: gli avevano aperto una fabbrica clone proprio accanto.
    Poi lui si sposo’ con una cinese e gli affari sono andati meglio.

      1. …si , celeste moglie me lo ricorda sempre.
        anche di kiwi mi sembra…e immagino tanto altro ancora.

        ps.
        avuto oggi meeting con pregiata fonderia di Qingdao e sobborghi.
        Manco i proto ci fanno far piu’ in Italia: vedremo…

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