caldo

Caldo.
Fa un caldo impossibile.
Fa così caldo che le galline fanno le uova sode.
Fa così caldo che quando comperi un gelato lo devi mangiare in un boccone se no si scioglie.
Scherzi a parte, se stai all’ombra sdraiato nudo, sudi comunque abbondantemente.
La mia prima esperienza di caldo asiatico è stata durante il mio primo viaggio in Cina, nello 浙江 (Zhèjiāng), per la precisione ad 杭州 (Hángzhōu).
Allora nelle case non c’erano i condizionatori, al massimo si potevano trovare i ventilatori, molto spesso dei modelli in ghisa con l’asse rigorosamente scentrato, i quali appoggiati al pavimento di legno che faceva da cassa acustica creavano un rimbombo da farti credere di avere un cacciabombardiere in casa.
Un giorno l’amico cinese che mi ospitava mi portò a trovare un suo ex compagno di scuola che lavorava in un ospedale.
Costui lavorava su di un’apparecchiatura tedesca che doveva stare a temperatura costante, per cui veniva tenuta in ambiente condizionato e isolato, al quale si accedeva attraverso una serie di porte a tenuta stagna.
Noi eravamo arrivati in bicicletta sotto un sole da squaglare le pietre, e una volta entrati mi ritrovai incredulo ad attraversare queste porte dove l’aria era sempre più fresca, fino ad arrivare ad una paradisiaca temperatura di 20 ºC.
Il tizio poi ci offrì bottigliette di acqua fredda, articolo allora di lusso. Mi sentivo perfettamente a posto.
Il problema fu all’uscita, quando porta dopo porta venivo assalito da folate di aria sempre più rovente che mi faceva presagire l’inferno al quale stavo ritornando.
All’uscita, mi sembrava che mi avessero colato del piombo nelle scarpe; i vestiti mi si erano appiccicati addosso.
Barcollando sul cemento del piazzale screpolato dal sole a picco, andai a riprendermi la bicicletta, e lentamente mi avviai a zig-zag verso casa dove almeno c’era il mio cacciabombardiere privato ad aspettarmi.
Comunque il caldo più insopportabile di cui abbia mai fatto un’esperienza diretta è stato in Giappone, nel 2003. I miei attenti lettori si ricorderanno che quell’anno l’Italia era stata colpita da una notevole ondata di caldo.
Io credendomi furbissimo mi ero organizzato per trascorrere l’intero mese di Agosto in Giappone, contando sul fatto che la stagione delle piogge fosse già finita.
E invece mi toccò la stagione delle piogge anomala, che si protrasse ben oltre i limiti soliti dello 梅雨明け (つゆあけ) “fine della stagione delle piogge” e venne a sovrapporsi fastidiosamente su buona parte della mia vacanza-studio.
Ad un certo punto comunque un amico giapponese venne a trovarmi e mi invitò a trascorrere il weekend a casa sua, a 3 ore di treno da Tokyo.
Tutto gasato mi apprestai ad assaporare la realtà giapponese, nonostante il mio amico di fronte a tanto entusiasmo si fosse sentito in dovere di avvisarmi che la città era molto piccola.
“Bene, più piccola è e meglio è”, risposi.
In effetti poi per arrivare a casa sua mi fece passare in un viottolo fangoso attraverso una risaia.
Allibito gli dissi che ritenevo dovesse esserci una strada più ortodossa per arrivare a casa sua.
“C’è ma è più lunga, io passo sempre di qui”, mi rispose.
Arrivati a casa ormai era sera tardi, per cui cenammo frugalmente e ce ne andammo a dormire.
Il giorno dopo ero elettrizzato dall’idea di andare fuori in esplorazione, al che ci fu una conversazione che mi sembra di ricordare così: “外には何もない Fuori non c’è niente.”, mi disse.
“インポシブル、何もないは不可能だ Impossibile, ci deve essere qualcosa.”, ribattei.
“小さいレークがいます C’è un piccolo lago.”
“行って看てよ Andiamo a vedere.”
“あなたの気 Come vuoi.”
La stagione delle piogge anomala unita alla canicola africana della piatta campagna giapponese e con la complicità di un acquazzone proprio quella mattina, aveva portato l’umidità a valori astronomici.
Per cui se c’erano 43 gradi, la temperatura percepita sarà stata di 52 o oltre.
Tralasciando spudoratamente il fattore umidità, “Tzè”, mi dissi, “Io sono stato nel Taklamakan! Cosa vuoi che mi faccia un po’ di caldo nipponico.”
Appena usciti di casa, dopo poche dozzine di metri stavo ansimando come un bulldog ed avevo difficoltà di respirazione.
Solo uno sforzo di volontà mi fece arrivare all’infame pozzanghera quando, ormai sudato come un cavallo, non stavo più in piedi ed ero sulla soglia dello svenimento.
In tutto sarà stato un percorso di 300 metri.
Il previdente amico aveva portato un bel bottiglione d’acqua che mi salvò la vita sulla strada del ritorno.
A seguito dello shock termico mi ritrovai poi con una bella diarrea, fortunatamente risoltasi dopo una ostinata permanenza nell’unica sala con condizionatore della sua casa (nonché frequenti puntate in bagno).
Qui nel Guangdong di oggi il problema è ben più insidioso, perché aggravato dal fattore aria condizionata.
La regola base è che il condizionatore va sempre regolato al massimo, provocando sbalzi termici di una trentina di gradi tra esterno e interno, cosa che può diventare pericolosa se per esempio sei giro per negozi.
Una volta uno mi aveva detto che siccome una volta il condizionatore ce l’avevano solo i ricchi, era diventato uno status symbol, e più freddo uguale più status; poi tutti hanno incominciato ad averlo, instaurando un circolo vizioso dalle conseguenze disastrose.
In certi ristoranti di lusso a chi proprio non ce la fa più vengono distribuiti degli scialli per proteggersi dalle correnti d’aria gelata.
Se disgraziatamente si è costretti a dover prendere un taxi, si può essere sicuri che si scenderà dalla macchina con il moccio al naso, a meno che non si vada in giro con il “maglioncino tattico”, articolo indispensabile nei periodi di calura intensa.
I locals sembrano non soffrire della situazione, almeno non ufficialmente perché comunque ogni tanto si sente che qualcuno si è presa la 空调病 (kōngtiáo bìng), la “malattia del condizionatore” (raffreddoris vulgaris).

esperto

In Italia e penso in tutto il mondo è sempre esistito lo stereotipo del cinese che inizia le frasi con “Confucio dice” (孔子曰 Kǒngzǐ yuē, e attenzione a non confondere 日 con 曰).
È vero che in questi ultimi anni Confucio è tornato di moda in Cina, grazie ad alcuni divulgatori moderni, prima tra tutte la mitica 于丹 (Yú Dān).
Però oggi nessuno in Cina dice “Confucio dice”, per ragioni secondo me solidissime.
Il fatto è che la cultura e tradizione confuciana sono talmente insite nell’animo dei cinesi e della loro società, che non c’è nessuna necessità di dirlo.
Comunque il bisogno di riferirsi ad una autorità superiore è sempre presente; in fondo siamo tutti umani, no?
Ecco quindi che fa la sua comparsa lo “scienziato cinese”, o “esperto”.
Questa fantomatica figura può spuntare all’improvviso in qualsiasi conversazione, ispirandosi alle peggio leggende metropolitane e facendole assurgere al livello di verità incontrovertibili.
Oggigiorno i cinesi hanno facile accesso a una quantità di informazioni, e non voglio stare a discutere di censura eccetera perché non è questa la sede adatta. Io mi riferisco alla quotidianità, ai forum di cucina su internet, alle riviste sulle bancarelle, ai programmi che ascolto alla radio quando vado in ufficio la mattina in macchina.
Cito un esempio che ho vissuto sulla mia pelle quando cercavo casa: la regola del settimo piano.
Non si sa quale “scienziato cinese” ha stabilito che le polveri del traffico stradale vengono portate dal vento e si depositano al settimo piano dei palazzi.
Quale scienziato? Come è arrivato a questa stupefacente conclusione?
Perché non il sesto o l’ottavo?
Differenti esposizioni ai venti o ai punti cardinali possono cambiare questa triste condizione?
Palazzi in centro oppure in periferia? Mare e montagna?
Nessuna osservazione ha potuto far tentennare la granitica convinzione della mia amata moglie, inammovibile come il dente del giudizio nella mascella di un caimano.
A questo aggiungiamo che il quarto piano è proibito perché il numero 4 porta male, e così pure il 14 e il 24, poi il 13 e il 17 portano male in Occidente, il primo e il secondo sono troppo bassi, l’ultimo piano no perché d’estate fa troppo caldo, eccetera.
Ecco qui un delizioso quadretto della Cina di oggi: sapienza antica, scienza moderna, superstizioni, influssi dall’occidente, tutto assieme.
Per la cronaca, alla fine abbiamo messo su casa al sesto piano.
Se ne sentono di tutti i colori: l'”esperto (专家 zhuānjiā)” ti dice a che temperatura devi mettere il condizionatore la notte e per quante ore lasciarlo acceso; cosa come e quando mangiare in base alla stagione; se devi tenere in braccio tuo figlio verticale oppure orizzontale, &c.
Il tutto condito con la solita retorica pseudocomunista, ragionamenti da vecchie comari e prove del nove del tutto tautologiche.
Però non c’è niente da fare, anche quando riesci a stringere il tuo interlocutore in un angolo e a dimostrare che sono tutte fanfaluche, questo assume un’aria contrita, come se stesse contemplando la rovinosa caduta di tutti i valori nei quali aveva creduto per tutta la vita, primo fra tutti che la Cina di oggi sta per fare finalmente vedere i sorci verdi a tutte le altre nazioni del mondo.
Non c’è soddisfazione in una vittoria del genere, e soprattutto non vale la pena prendersela per qualcosa che ti potrebbe mettere il bollino di “critico nei confronti della gloriosa superiorità della Terra di Mezzo”.
Per cui quando qualcuno se ne esce con “L’esperto dice…” incomincio subito ad annuire e magari poi dico “Ma sai che noi in Occidente non ci avevamo mai pensato?”

expats

Recentemente parlavo con un amico delle scelte di vita che avevamo fatto.
Anche lui vive in Cina, nella stessa mia città.
Più o meno l’argomento erano i progetti per il futuro, conseguenti timori e paure, etc…
Tra le altre cose è uscito anche il discorso dello shock culturale inverso, un fatto da considerare quando si decide di andare a vivere all’estero.
Penso che quanto emerso sia utile anche a chi mi chiede come si fa a venire a vivere in Cina.
La vera domanda da porsi prima di prendere una decisione del genere è: “Per quanto tempo?”
Personalmente io abito in Cina da quasi tre anni ormai, e devo dire che non ho mai preso seriamente in considerazione l’idea di tornare in Italia.
Ho compiuto sforzi titanici per imparare la lingua, e ho imparato cose che sono utili solo qui, quindi non avrebbe senso tornare.
Nota bene: è stato tutto intenzionale, parte di un progetto di vita che ora sta dando i suoi frutti.
Certo, mi manca l’Italia, ma qui sono a posto, famiglia e tutto.
Starò qui per sempre, magari cambierò lavoro passando da una azienda straniera ad un’altra.
Conosco gente che condivide questo stesso punto di vista, spesso chiamato “Cina per sempre”.
Qualcun altro ha fatto due anni in un Paese, poi tre in un altro, e così via per un sacco di tempo; questo è completamente diverso, non è “Cina per sempre” e non è questa la sede per parlarne.
C’è comunque un qualcosa che accadrà sicuramente a chi va all’estero per qualche anno e poi torna a casa: si sentirà spaesato.
Ho sempre pensato che un “expat” fosse qualcuno che ad un certo punto decide di vivere all’estero punto e basta. Quelli che vanno all’estero per un paio d’anni e poi tornano a casa sono qualcos’altro, come dire? “Expat temporanei”?
Detto questo, vorrei puntualizzare che chiaramente le ragioni e le aspettative di un expat temporaneo sono diverse da quelle di uno a lungo termine, però a me sembra logico che se uno va all’estero per un periodo e poi torna a casa, c’è da aspettarsi che sia necessario fare un po’ il punto della situazione.
Morale: prima di scapicollarsi all’estero, bisogna pensare anche al dopo, o quanto meno mettere in conto certi fatti fin dall’inizio.
È un dato di fatto che le persone cambiano con l’esperienza; quando uno vive all’estero la sua personalità si allontana da quella delle persone che sono rimaste a casa proprio perché le esperienze sono differenti.
Bisogna considerare a cosa può accadere alla propria vita privata, nel bene e nel male.
Una volta tornati dall’assignment, se si è americani ci si può aspettare corsi di aggiornamento per expat o qualcosa del genere proprio per evitare questo tipo di shock.
Se si è italiani, campa cavallo… sei già fortunato se l’azienda dove lavoravi esiste ancora.

ristrutturazione

Oramai è passato un anno e mezzo da quando ci siamo trasferiti definitivamente nel nostro appartamento attuale.
Nelle ore più buie della notte, quando fisso insonne il soffitto (a causa di qualche manicaretto cinese consumato in quantità indecorose) ricordo ancora con orrore il periodo della ristrutturazione.
Qui in Cina gli appartamenti si vendono “nudi”, cioè non c’è dentro niente, non c’è l’intonaco sulle pareti, né il pavimento, ci sono solo muri di mattoni e l’impiantito di cemento nudo.
Se l’appartamento è di seconda mano, il prezzo è basato sul fatto che il nuovo occupante rimuova accuratamente ogni traccia di rifinitura e riparta da zero (in pratica, ciò significa che i soldi della ristrutturazione sono persi in ogni caso).
Devo dire che all’inizio eravamo entusiasti: che bello poter decidere dove far passare ogni cavo, ogni tubo, dove mettere ogni presa, tutto!
Ben presto però la dura realtà cinese ha imperiosamente imposto un freno al mio entusiasmo; a mia moglie no, perché essendo cinese sapeva già tutto da prima.
In particolare mi riferisco agli operai che vengono a fare i lavori. Perlomeno, il 98% di essi, perché in realtà qualche raro esempio di efficienza e professionalità esiste.
La caratteristica che accomuna tutti quanti è che fino a pochi giorni prima stavano in cima a qualche montagna oppure in mezzo a qualche deserto, per cui non hanno la più vaga idea di cosa tu stia dicendo.
Quelli più esperti, che sono scesi dalla montagna (o dall’albero, a volte) da più giorni, hanno imparato a fare una cosa, una cosa sola, e la fanno sempre allo stesso modo.
Ne consegue che qualsiasi cosa tu voglia, ti dicono di sì, sorridono, e poi fanno comunque quello che vogliono.
A lavoro fatto, quando arrivi a controllare, sono tre le scuse più diffuse:

  1. “Tanto è lo stesso”
  2. “Così è meglio”
  3. “Così costa meno”

Esempi.
Gesso: avevamo deciso che il gesso che la ditta di ristrutturazioni ci voleva mettere sui muri non ci piaceva, e volevamo un’altra marca con caratteristiche diverse.
Ebbene, incredibile dictu, gli operai addetti a carteggiare i muri si sono rifiutati di eseguire il lavoro.
Le scuse addotte avevano dell’incredibile, tipo “È troppo duro”, “Non abbiamo mai fatto una cosa simile”, “Non siamo sicuri di poter garantire un risultato adeguato”.
Non c’è stato verso: abbiamo dovuto cercare degli altri omini meno schizzinosi che si sono dedicati al lavoro senza fiatare e hanno tirato le pareti lisce.
Lapilli: Abbiamo chiamato un omino a montare il lavandino in bagno.
Avevamo deciso di fare un piano in cemento armato fissato su due pareti opposte e appoggiato alla terza, sul quale appoggiare un piano di vetro e quindi il lavandino.
Detto omino si è presentato in maniera molto professionale: attrezzi, materiali, tutto a puntino.
L’ho lasciato lavorare e sono andato a vedere altre cose.
Dopo un po’ sento il rumore della smerigliatrice angolare che morde il ferro, ma non ci faccio nemmeno caso. Poi per caso passo davanti alla porta del bagno, guardo dentro… Sommo orrore!
Stava tagliando un supporto di ferro, e le scintille della mola andavano dirette dirette sulle MIE piastrelle!
Allora l’ho fermato subito e gli ho detto: “Ma non vedi cosa stai facendo? Rovini tutte le piastrelle!”
Risposta: “Non c’è problema.”
Al che mi sono ‘irritato': “Questo è il MIO bagno, queste sono le MIE piastrelle e lo decido IO se va bene o meno.”
Al che mi sono messo a grattare via i lapilli attaccati alle piastrelle, accorgendomi che fortunatamente l’entità del danno era irrisoria.
L’omino intanto stava dietro di me a guardarmi grattandosi la testa perplesso a cotanta manifestazione di cocciutaggine forestiera.
Quando mi sono chinato per pulire le piastrelle sotto al piano, mi ha dato due colpetti sulla spalla e mi ha detto: “È inutile pulire lì, tanto non si vede!”
A quel punto ho incominciato a vederci rosso e a sputacchiare parlando mentre gli dicevo “Il bagno è MIO! Decido IO cosa pulire!”
Mi ha dovuto tirare via mia moglie con la forza.
Porta scorrevole Avevamo deciso di installare un piano di marmo sotto alla porta scorrevole del balcone. Questo voleva dire sostituire la guida in metallo dove scorre la porta.
Il giorno fatidico arrivano due ragazzi di 16 anni circa, capelli punk e sigaretta penzolante dalle labbra.
Portano una mola flessibile e nient’altro.
Si guardano in giro, trovano una piastrella e un tubetto di colla avanzato, e con questi tirano una riga approssimativa sul marmo.
Procedono quindi ad effettuare il taglio con la mola flessibile tenuta in mano senza nessun appoggio, con il risultato di effettuare un’incisione a dir poco ‘wobbly’.
Vabbè, fa niente, li lascio continuare.
Applicano il mastice, inseriscono la guida in metallo.
La porta non va su.
Il fighetto n.1 mi guarda attraverso la frangia dei capelli e dice: “Bisogna tagliare la porta”.
Sorvoleremo ora sul fatto che la porta scorrevole sotto ha un sistema di rotelline, che prima ci stava perfettamente, e sorvoleremo anche sulle pietose scuse addotte, tra le quali però brilla “Capita sempre, lo facciamo spessissimo.”
Morale, dopo avere interpellato vari altri omini, è risultato che avevano inserito la guida al contrario.
Tolta la guida, inseritala correttamente, tutto a posto.
Altri esempi con protegoniste le Ayi 阿姨 āyí, letteralmente “zietta”; il termine indica qualsiasi donna di una certa età e particolarmente le donne di servizio.
Ora proseguirò con due fatti che sono assolutamente veri al 100%.
Ayi n.1 Questa signora arriva dalla direzione del bagno e dice: “Si è rotta quella cosa attaccata al muro.”
“Quale cosa attaccata al muro?”
“Non so come si chiama.”
Vado a vedere, è il braccetto della doccia che si è smollato.
“Ma è la doccia! Si è rotta la doccia. Perchè non hai detto ‘doccia (淋浴 línyù)’?”
“Non so cos’è.”
Ayi n.2 “Signora Ayi, per favore puoi bagnare le piante?”
“Come si fa?”
(Pensando “Ma questa non arrivava dalla campagna?”) “Prendi l’acqua e la butti sulla pianta!”
La Ayi se ne va.
Dopo un minuto vado a vedere, aveva messo dell’acqua in una bacinella, inumidiva la punta delle dita nell’acqua e poi con essa spruzzava le foglie.

Potrei continuare all’infinito, ma questo rischia di diventare un unico ‘rant’ troppo lungo.
Come concludere? Dovrei ricordare che viviamo in una città piccola, probabilmente questo tipo di cose a Shanghai non succedono.
Non voglio mica dire che questa gente sia cattiva, anzi quello che fanno lo fanno con il cuore, solo che è difficile per noi europei abituarsi ad un sistema di pensiero così differente da quello con cui siamo stati cresciuti.
E poi bisogna comprendere la situazione di partenza: io stesso sono stato ospite in case di campagna cinesi con il pavimento in terra battuta, niente bagno, e solo un unico rubinetto in cortile.
Quindi, amici stranieri, attenzione a quando commissionate i lavori in casa: indagate attentamente le competenze delle maestranze, e seguite personalmente l’avanzamento di ogni singolo lavoro.

dizionario 2

Come promesso ormai nel lontano Gennaio 2009, ecco la seconda parte del dizionario uomo/donna:

L’ITALIANO DEGLI UOMINI 男人的词典

  • Ho fame = Ho fame
    我饿了 = 我饿了
  • Ho sonno = Ho sonno
    我困了 = 我困了
  • Sono stanco = Sono stanco
    我累了 = 我累了
  • Bel vestito! = Bella gnocca!
    漂亮的衣服! = 漂亮的女人!
  • Cosa c’è che non va? = Non vedo perché ne stai facendo una tragedia
    有什么问题? = 我不明白你生什么气
  • Cosa c’è che non va? = Attraverso quale insignificante trauma
    psicologico auto-inventato stai combattendo?
    有什么问题? = 你现在有什么自己发明没有意思心理学的问题?
  • Si, mi piace il tuo taglio di capelli = Mi piacevano di più prima
    我喜欢你的新发式 = 以前跟漂亮
  • Si, mi piace il tuo taglio di capelli = Cinquantamila lire e non è
    cambiato nulla!
    我喜欢你的新发式 = 花了那么多前什么都没有改变!
  • Andiamo al cinema? = Mi piacerebbe fare sesso con te
    去看电影吧? = 我想做爱
  • Posso portarti fuori a cena? = Mi piacerebbe fare sesso con te
    去吃东西吧? = 我想做爱
  • Posso chiamarti qualche volta? = Mi piacerebbe fare sesso con te
    我可不可以给你打电话?= 我想做爱
  • Posso avere l’onore di un ballo? = Mi piacerebbe fare sesso con te
    要跳舞吗? = Mi piacerebbe fare sesso con te
  • Sembri tesa, ti faccio un massaggio? = Ti voglio accarezzare (Mi
    piacerebbe fare sesso con te)
    你看起来很紧张,要不要我按摩? = 我想触摸你 (我想做爱)
  • Cosa c’è che non va? = Immagino che di fare sesso stanotte non se ne parla…
    有什么问题? = 一定晚上不可以做爱
  • Sono annoiato = Vuoi fare sesso con me?
    我很无聊 = 要不要跟我做爱?
  • Ti amo = Facciamo sesso, ora!
    我爱你 = 做爱吧,现在!
  • Ti amo anch’io = Va bene, l’ho detto, ma ora facciamo del sesso
    我也爱你 = OK了,我说了,现在做爱
  • Parliamo = Sto cercando di fare una buona impressione su di te in modo
    che tu creda che sono una persona profonda e forse allora
    acconsentirai a fare sesso con me.
    我们说话吧 = 我正在试一下流个好一点的影响,所以你会想我是个有意思的人,然后可能可以做爱
  • Mi sposerai? = Voglio che diventi illegale per te andare a letto con
    altri uomini.
    结婚吧! = 我要你如果跟别人睡觉,是不合法的
  • Mi piace di più quell’altro (mentre si fanno compere) = Prendi uno
    qualunque di questi cavolo di vestiti ed andiamocene a casa! (a fare
    sesso)
    (买东西)我最喜欢另外一个 = 无论那一个,衣服都一样吧,随便拿一件回家吧!(做爱)

pecora

喜羊羊与灰太狼 (Xǐ Yángyang yǔ Huī Tài Láng) “Pleasant Sheep and Big Big Wolf” è un cartone animato per bambini che viene trasmesso alla TV cinese.

La pecora

La trasmissione è di enorme successo, e il merchandising che ne consegue mi ricorda con orrore il battage pubblicitario delle olimpiadi del 2008, descrivibile con una sola parola: PERVASIVO.
Personalmente mi spiego la situazione considerando il fatto che questo cartone secondo me è il primo di una certa qualità prodotto interamente in Cina.
C’erano certo stati tentativi di creare personaggi di successo, ma i risultati sono stati molto dubbi; cito a memoria 蓝猫 (Lán Māo) “Gatto blu”, 猪猪侠 (Zhūzhū Xiá) “Porcellino eroe”.
Il gatto

Il gatto è stato creato nel 1999 e ha rifiutato ostinatamente di scomparire secondo me solo perché non c’era in giro niente di meglio.
Il maiale

Il maiale è del 2006, realizzato con computer graphic.
Segue poi una serie infinita di rivisitazioni dello 西游记 (Xīyóu Jì) “Journey to the West”, nonché avventure di 猪八戒 (Zhūbājiè), e tanti altri tutti fatti con lo stesso stampino.
Dall’alto del mio piedistallo di ex otaku orgoglioso del mio passato a base di cartoni giapponesi, posso dire che i cartoni cinesi finora sono caratterizzati da l’animazione orrenda, storie ripetitive, personaggi piatti e così via.
Fino all’arrivo della pecora: quando nel futuro gli esperti discuteranno della storia del cartone animato cinese, saranno tutti concordi nell’affermare che la pecora è stata una svolta.
L’animazione è “tipo flash” ma fluida, le trame sono molto semplici e autoconclusive ma le gag sono divertenti, e più di tutto, i personaggi sono simpatici.
Insomma 10+, speriamo di vedere ancora dei risultati del genere.
Curiosità: nell’universo Disney non esiste il matrimonio: solo fidanzati, zii e nipoti.
Il lupo invece è sposato, la moglie si chiama 红太狼 (Hóng Tài láng) “Red Wolf”.
Sarà perché la famiglia è così importante nella cultura cinese?

El pueblo unido jamás será vencido

Nuntio vobis gaudium magnum, habemus un lettore in più e quindi siamo saliti a quota 4, ho già le vertigini!
Il nuovo lettore mi scrive, si complimenta, cita un post ed elegantemente mi chiede di fare pubblicità gratis al loro sito.
Avrei potuto rispondere privatamente ma, o poffarbacco, il sito è mio, pago lo hosting con sonanti talleri ed utilizzo il mio proprio tempo per rimpolparlo di contenuti che nessuno legge, ma almeno ho il diritto di scriverci quello che mi pare!
Non me ne voglia la gentile signorina (o il distinto signore che si cela sotto le sue spoglie), ma la menzione a “gratis” e a “talleri” dovrebbe avere già fatto perlomeno intuire l’esito finale della faccenda.
Ebbene no, non ho intenzione di soddisfare la vostra peraltro gentile e lusinghiera richiesta.
Non mi unirò al perverso gioco del “io linko te, tu linki me” esattamente come mi sono sempre rifiutato di unirmi alle folte schiere di coloro che sborsano moneta per poter portare indosso pubblicità ad uno stilista, o girare con un sacchetto di plastica con su il nome di un supermercato, o similia.
Evviva evviva, il mio blog è libero come un uccellino, anche se il numero di lettori dopo questo post ripiomberà alla solita quota di tre!