Laozi

Prosegue la fortunata serie sui personaggioni famosi cinesi.
Oggi si fanno due parole su Laozi 老子 “il vecchio maestro”, in molti testi chiamato Lao Tzu.
Pare che sia vissuto tra il 571 e il 471 A.C., oppure nel periodo degli Stati Combattenti del 4º secolo A.C, dipende dalle fonti.
Dico “pare” perché di preciso non si sa nemmeno se sia realmente esistito; ma andiamo avanti.
All’anagrafe 李耳 (Lǐ Ěr), ma secondo i costumi dei tempi ebbe anche altri altri nomi e nomigonoli, di cortesia e postumi, tra cui 字聃 (Zì Dān), 一字 (yī Zì), 伯陽 (Bó Yáng).
Filosofo, scrittore, fu lui a fondare il Taoismo, la religione indigena della Cina. O meglio, potrebbe essere anche il personaggio che ha raccolto in un sistema fruibile quelle che potevano essere una serie di credenze, filosofie o scritti precendenti.
Fattostà che esistito o meno, l’influenza di questo personaggio non può essere descritta nelle poche parole di un mero post di un fetecchioso blog come questo.
Basti dire che Lao Zi viene venerato come una divinità ancora oggi. OK, questo non è un buon esempio, vista la quantità di personaggi venerati come divinità al giorno d’oggi dai cinesi (il pantheon cinese deve essere un posto piuttosto affollato.)
Comunque, a lui viene attribuito il 道德经 (Dào Dé Jīng), o “Tao Te Ching” che dir si voglia, cioè il canone della religione taoista.
Ripeto: questo signore ha creato una religione che è stata il faro guida di una civiltà impareggiabile, religione che ancora oggi va alla grande.
Eccolo in tutta la sua sfolgorante bellezza in una immagine spudoratamente copiata da baidu:

Laozi

Nel pantheon taoista viene chiamato 太上老君 (Tài shàng lǎo jūn) “Vecchio gentiluomo delle altezze”.
Lo si può ammirare in praticamente tutti i templi taoisti; è raffigurato sempre come un vecchio dalla lunga barba, spesso in groppa ad un bufalo d’acqua.

Targhe 2

Quando stavo a Huizhou avevo fatto un post sulle targhe automobilistiche; adesso che ho traslocato nello Zhejiang (浙江) mi sento in obbligo di fare altrettanto.
Le targhe dello Zhejiang incominciano con 浙, e le lettere sono:

  • A 杭州 (Hángzhōu) La capitale… tutti dicono che è una meraviglia ma a dirla tutta a me sembra solo un caos di traffico. Sarà che non ho ancora avuto il tempo di viverla perbene.
  • B 宁波 (Nìngbō) Un enorme paesone, tipicamente cinese, pochi stranieri.
  • C 温州 (Wēnzhōu) La “Piccola Hong Kong”, polo industriale trainante dell’intera provincia. Il 98% dei cinesi residenti in Italia viene da qui.
  • D 绍兴 (Shàoxìng)
  • E 湖州 (Húzhōu)
  • F 嘉兴 (Jiāxìng)
  • G 金华 (Jīnhuá)
  • H 衢州 (Qúzhōu)
  • J 台州 (Tāizhōu)
  • K 丽水 (Lìshuǐ)
  • L 舟山 (Zhōushān)

disturbatori

Cosa rimane dopo anni di vagabondaggi in giro per la Cina e il mondo in aereo, barca, teno, macchina, motorette e biciclette?
Una serie di impressioni fugaci, lezioni di vita imparate da personaggi rocamboleschi, flash di panorami mozzafiato, e soprattutto una chiara panoramica sui vari tipi di disturbatori che si incontrano in viaggio.
(chi dice che mi lamento sempre a questo punto può smettere di leggere.)
Procediamo con una lista che riassume le tipologie più diffuse.

  1. Nuovo amico a tutti i costi: Questa specie è particolarmente diffusa in Cina, non a caso ha l’onore del primo posto nella lista. Il fatto è che alcuni cinesi quando vedono uno straniero sentono l’impulso irrefrenabile di attaccare bottone. A nulla valgono occhiatacce che incenerirebbero un rinoceronte; a nulla serve far finta di essere sordo, malato o agonizzante; niente può trattenere il tumultuoso prorompere di amicizia che sgorga dall'”amico a tutti i costi”. Presto comunque la comunicazione si assesta sui soliti binari: “Come parli bene cinese”, “Come usi bene le bacchette”, “Ti sei abituato al cibo cinese?”, e il sempreverde “Noi siamo poveri e tu sei ricco (e tutti i tipi di domande e osservazioni posssibile sul tema:Soldi)”.
  2. Bambino tisico: Un classicissimo. Il bambino tisico si riconosce dal colorito palliduccio. Siede tranquillo ed emette continuamente sempre lo stesso suono. Snif… Snif… Snif… Snif… Oppure Cough.. Cough.. Cough….. Cough… Non smette MAI.
  3. Igienista orale con stuzzicadenti (e risucchi): le buone maniere in Cina esistono, ma si tratta di regole diverse da quelle a cui siamo abituati noi. Per esempio, pulirsi i denti con lo stuzzicadenti in pubblico è la cosa più normale che esista. L’operazione viene condotta solitamente con notevole impegno e concentrazione, e con una vasta gamma di rumori.
  4. Il parlatore al telefono: questo è subdolo perché apparentemente è una persona tranquilla. Dopo che ti sei seduto e sistemato per bene, e magari anche appisolato, improvvisamente gli squilla il telefono. Allora scoppia in una esplosione di comunicatività condotta a voce tonante, con abbondanza di risate, urli e pacche sulle ginocchia. Finiti i 40-45 minuti di spettacolo, egli si ripega nel suo torpore come un giocattolo a molla, non prima di essersi guardato attorno con espressione beota chiedendosi perché tutti lo stiano fissando.
  5. L’appassionato di suonerie: Il titolo la dice tutta. Si tratta di un caso umano: il soggetto è disilluso dal fatto che nessuno lo chiami ed entra nella fase di diniego pensando di non sentire le chiamate perché la sua suoneria non è abbastanza alta o squillante. Prova quindi tutte le suonerie presenti nel telefono al massimo volume possibile, ascoltandole anche più volte, noncurante di chiunque gli stia attorno.
  6. L’allegra brigata, e la sua sottospecie I signori di mezz’età allegri: questi esemplari quando isolati si rincantucciano in qualche angolo, tengono gli occhi bassi e mostrano un’espressione tra il contrito e l’amareggiato. Quando si trovano in due, chiaccherano amabilmente. In tre o più, l’indice di allegria e estroversione aumenta esponenzialmente, in maniera inversamente proporzionale al grado di attenzione verso i non appartenenti al gruppo, che vengono considerati come tappezzeria. Sono noti casi di istrionismo, con tanto di esibizioni da circo e salti mortali nel caso di brigate abbastanza numerose.
  7. L’ubriaco: Questa tipologia si divide chiaramente in due sottospecie: l’ubriaco allegro e l’ubriaco triste. In entrambi i casi degenera nel tipo (1) oppure tenta di fare da solo una allegra brigata, generalmente con ben poco successo.
  8. Il lettore di giornale: Solitamente questo esemplare compare nei treni più affollati o negli scompartimenti più angusti. Necessita per le sue operazioni di una superficie di circa quattro metri quadrati e gira le pagine in continuazione invadendo lo spazio di tutti gli sfortunati che gli stanno attorno. Compie gesta acrobatiche per eliminare ogni singola pieghettina prima di leggere ogni parola, distribuendo a tutti in abbondanza gomitate, ditate e sventagliate di carta sulla faccia.
  9. Il bambino logorroico: La teoria più diffusa è che al bambino logorroico a casa propria venga fatta proibizione di profferire parola. Per questo motivo egli appena si trova fuori dall’ambiente familiare macina migliaia di parole al minuto, solitamente dando piena voce ai polmoni ed emettendo trilli ultrasonici capaci di trapanare senza pietà i timpani degli astanti. Altre teorie dicono che il bambino logorroico non sia altro che la fase infantile dell'”amico a tutti i costi”. Ai posteri l’ardua sentenza.
  10. Il patatomane: In Cina non vanno molto di moda le patatine ma questa specie è comunque abbondantemente presente nella veste del mangiatore di 咸菜, il mangiatore di colli d’anatra e moltre altre varietà. Per poter essere classificato nella specie l’esemplare deve soddisfare dei requisiti:
    • Il cibo prescelto deve essere altamente puzzolente, e possibilmente unto
    • Il cibo prescelto deve presentare caratteristiche di rumorosità quando consumato
    • La degustazione del cibo deve essere condotta con la massima calma possibile in modo da farlo durare più a lungo
  11. La lista continua…
    Ma per ora basta così.

traffico 2

Del traffico cinese ho già scritto in precedenza.
Dopo il recente viaggio ritengo di poter aggiungere un ulteriore capitolo sull’argomento.
Ecco quindi alcuni utili consigli per chi decidesse di intraprendere un viaggio in macchina sulle strade statali in Cina.
Al di fuori delle città cinesi le strade sono dominio incontrastato dei camion.
Generalmente di colore blu, sono caricati senza eccezione fino a ben oltre qualsiasi limite ragionevole con tutti i materiali che si possono immaginare, ma principalmente, nell’ordine: pietroni, ghiaia, terra, spazzatura, misteriosi macchinari, poi tutto il resto.
Immagino la consuetudine sia questa: alla partenza il camion viene caricato formando una piramide alta 20 metri, poi prima di uscire dalla porta principale i sobbalzi in cortile riducono il mucchio ad una decina di metri; durante il primo chilometro l’altezza si riduce ad un paio di metri, e il resto dell’eccesso viene perso durante il viaggio.
Per questa ragione è altamente sconsigliabile viaggiare dietro ad un camion, altrimenti si corre il pericolo di venire colpiti da pietroni, ghiaia eccetera.
Per essere completamente sicuri, è meglio anche evitare di stare davanti o di lato ad un camion.
Non esiste forza al mondo che possa fare deviare un camion dalla sua traiettoria, a parte i secondi nella classifica dei padroni della strada: i pullman.
In Cina, per consuetudine, quasi ovunque chi ha bisogno di salire su di un pullman non deve fare altro che sistemarsi al bordo della strada in un qualsiasi punto e agitare la mano quando vede il mezzo di suo interesse.
Parimenti, chi deve scendere parla con l’autista e negozia un punto che non sia troppo fuori dal percorso prestabilito e non troppo lontano da casa propria.
Morale, non c’è modo di prevedere quando un pullman in movimento potrà inchiodare oppure quando un pulman fermo scatterà in avanti. In entrambi i casi, la decisione viene presa senza prendere in considerazione fattori esterni fastidiosi come eventuali altri veicoli nelle vicinanze, e nel 90% dei casi, senza mettere la freccia.
Altro protagonista del dramma è il 面包车 (miànbāochē), cioè i minibus o furgoncini che dir si voglia, chiamati così perché la forma ricorda il classico pane a cassetta.
Il 面包车 ha solo due marce: “troppo lento”, e “troppo veloce”. In città mettono sempre “troppo veloce”, mentre fuori hanno sempre “troppo lento”.
In entrambi i casi, il guidatore sfoggia per tutto il tempo un sorriso di piena soddisfazione, come una specie di estasi mistica.
E questi sono i casi “normali”; non me la sento di includere in questa categoria i trabiccoli dei contadini, che meritano un discorso a parte.
Come definirli? Ce ne sono di tutte le forme, coperti o scoperti; a quattro, tre o due ruote; con zero, uno o più rimorchi; uno, due, tre o più posti a sedere.
Uniche caratteristiche comuni a tutti: sono completamente ricoperti di fango misto a grasso, non hanno luci di nessun tipo e hanno la tendenza a balzare fuori all’improvviso da stradine laterali invisibili, di notte, senza guardare prima da nessuna parte.
In una parola, sono un incubo.
Non esiste viottolo di montagna talmente remoto da essere al sicuro dai trabiccoli dei contadini: il pericolo è sempre in costante agguato.
Per completare il quadro delle strade notturne, aggiungiamo le “misteriose figure in nero”.
Non sono sicuro del loro preciso aspetto perché le ho sempre viste di sfuggita, illuminate dai fari della macchina per una frazione di secondo; sospetto comunque che siano abitanti dei villaggi di montagna che in piena notte e nell’oscurità più totale, non hanno di meglio da fare che sedersi sui paracarri delle strade, in curva, vestiti di nero, a 20 centimetri dalla carreggiata.
Bisogna premettere che l’alternativa a questo comportamento apparentemente irrazionale sarebbe rimanere in casa a guardare la televisione cinese, il che potrebbe effettivamente causare una certa tendenza suicida.
Ogni tanto, giusto per evitare che la monotonia del viaggio prenda il sopravvento, ci sono i sorpassi.
Mi riferisco alla seguente situazione: un carretto che va a 2 kmh, soggetto a sorpasso da parte di un trabiccolo; sopraggiunge un camion, che a sua volta sorpassa. Arriva un pulman il quale, ovviamente, sorpassa pure lui.
L’allegra compagnia occupa tutte e 4 le corsie della pur larga strada.
Tu, omino bianco, ignaro alla guida del tuo veicolo, dopo una apparentemente innocente curva te li trovi davanti all’improvviso; tutti si mettono a strombazzare e sfanalare minacciando di travolgerti in zero secondi.
Che fai?
La prima volta mi sono bloccato sul bordo della strada, praticamente accucciato come un cagnolino impaurito e ho aspettato frignando che la carovana passasse alle mie spalle.
Poi mi sono reso conto che, data l’allarmante frequenza del ripetersi di questa situazione, questa strategia avrebbe allungato i tempi del viaggio in maniera considerevole.
Una più approfondita analisi ha rivelato che mostrando una adeguata sfacciataggine e sprezzo del pericolo, l’omino bianco riusciva spesso a guadagnarsi uno spazietto per passare.
La faccio breve: alla fine mi sono trasformato in un mostro, pregustando il momento del successivo sorpasso per dare fiato alle trombe e abbagliare tutti con i fari della MIA macchina, accelerando incontro al nemico in rotta di collisione, in una spericolata gara di coraggio per vedere chi cedeva per primo.
Devo dire che gli altri occupanti della macchina però non gradivano molto.

inverno

L’inverno è arrivato Anche qui . Oggi è il 18 novembre, e da una settimana mi sto crogiolando in temperature miracolosamente al di sotto dei 30 gradi.
Forse mi sto crogiolando un pò troppo, visto che mi sono preso il raffreddore, però il primo giorno di fresco era imperdibile, me lo sono voluto godere tutto in maglietta, con le ovvie conseguenze.
La prima e più grande novità è che non si suda, quindi non si torna a casa fradici ogni giorno.
La seconda è che le zanzare sono sparite.
Le più resistenti, quelle col cappotto, ci hanno messo un pò ma alla fine ho definitivamente tolto la zanzariera dal letto.
Mi dicono che in Italia fa freddo; quell’Italia che nella mia (bacata) memoria è sempre associata a profumo di pane fresco e olio d’oliva, e ora sta per venire ridotta ad una giungla fumigante da un manipolo di arroganti e viscidi politicanti.
Mi si consenta un attimo di calcolata malinconia, ma quando leggo il blog di Beppe, veramente mi cadono le braccia.
Torniamo a noi: siccome il Guangdong è un posto normalmente caldo, con solo un paio di mesi all’anno di freddo non troppo intenso, il concetto di riscaldamento non è molto recepito dalla popolazione.
Tutti dicono che basta mettere qualche strato di vestiario in più, alcuni si spingono addirittura a dirmi che in Italia fa molto più freddo che qui, e che dovrei quindi essere abituato.
Rispondo io, sì fa più freddo, ma dovunque c’è il riscaldamento!
Qui magari non fa tanto freddo, ma quel poco che c’è me lo becco tutto fin nelle ossa!
Morale, come diceva un personaggio mitico che ha transitato da queste parti in passato, “Il Guangdong è uno dei posti più freddi del globo”, come dargli torto?
In casa mia ho voluto almeno i condizionatori a doppia funzione, che d’inverno sparano aria calda.
In ufficio sfortunatamente questa funzionalità non è disponibile, per cui al momento indosso:

  1. maglietta di lana
  2. calzamaglia integrale (superpippo)
  3. Maglioncino
  4. camicia
  5. golf
  6. giacca

Praticamente un 米其林人 (mǐqílín rén) “Omino michelin”.

Miao

L’ultima tappa del viaggio e’ stata 岜沙村 (Bāshā cūn), un villaggio 苗族 (Miáozú) “Etnia Miao“.
Il nome del villaggio in lingua Miao significa “molta vegetazione”, in effetti la montagna è lussureggiante.
Fino a tempi relativamente recenti, la zona era accessibile soltanto a piedi, e quando dico piedi, intendo che non ci si arrivava nemmeno a cavallo.
Ultimamente il governo ha mostrato un interesse quasi ossessivo per i villaggi entnici e ha coperto tutti con una montagna di soldi, quindi ora c’è una bella strada che arriva fino al centro del paese, negozi, una piazza, e un sacco di macchine di turisti.
Attenzione, tanto meglio per gli abitanti, finalmente si possono scrollare di dosso la miseria di secoli e godere un po’ anche loro del “miracolo cinese”.
Questa gente si veste di 亮布 (liàngbù) come i loro cugini 侗 (Dòng), ma a differenza di questi ultimi, i Miao vestono esclusivamente di quello, anche quando vanno a lavorare nei campi (così dicono).
Gli uomini si rasano tutta la testa tranne un cerchio alla sommità, dove i capelli vengono lasciati crescere lunghi e raccolti in un codino; portano anche una specie di piccolo turbante.
Anche loro usano il 芦笙 (lúshēng) spesso e volentieri, e tutti (dico tutti, anche i bambini) portano un fucile; alla cintura hanno sacchetti con pallini e polvere da sparo.
Questa del fucile è una notizia sensazionale, infatti in Cina è proibito possedere armi; nemmeno i poliziotti girano armati, tranne il reparto speciale dei 武警 (wǔjǐng), la temuta “polizia armata”.
Per i Miao è stata fatta un’eccezione, considerando in primis che per loro è un costume radicato da tempo immemore, in secundis che si tratta di archibugi ad avancarica costruiti a mano, buoni al più per spaventare gli uccellini nei campi.
Ecco qualche foto, che conclude il ciclo dei post dedicati al viaggio.
Infatti da 岜沙 siamo poi tornati a casa, fermandoci a 桂林 (Guìlín) solo per passare la notte.


girls
flickr


villagers
flickr


kid (with gun)
flickr


risaie

Il villaggio di 堂安 (Táng’ān) è immerso in un bucolico paesaggio di terrazzamenti coltivati a riso, e offre una spettacolare veduta sulla valle di 肇兴 (Zhàoxīng).
Ho trovato stupefacente come ogni singolo metro quadrato di terreno disponibile venga sfruttato: ho visto piantine di riso in spazi non più grandi di due metri quadri!
Ecco qualche foto:






Link Flickr: link 1, link 2, link 3, link 4.

Nell’ultima foto si vedono chiaramente le piantine di riso poste ad essiccare.

Tang’An

Durante la permanenza a 肇兴 (Zhàoxīng) andammo a fare una gita in un altro villaggio 侗 (Dòng) ancora più sperduto, di nome 堂安 (Táng’ān); altitudine circa 1000 metri.
All’ingresso del villaggio c’è un albero con davanti una lapide di pietra la quale riporta la seguente iscrizione:

约翰.杰斯特龙树

约翰.杰斯特龙树简介

约翰.杰斯特龙是世界著名的生态博物馆学家。1952出生于挪威王国的图顿。他是中挪文化合作项目贵州生态博物馆群的科学顾问。为堂安生态博物馆的建设,他不远万里,曾于1995年、2000年两次到堂安进行科学考察,倾注了心血。约翰.杰斯特龙先生尊重侗族人民的风俗习惯,热爱侗族文化,受到了侗族人民的衷心爱戴和诚挚欢迎。2001年4月6日,他在俄罗斯西伯利亚从事研究工作时心脏病突发,猝然去世。他的逝世,是中挪文化合作项目的重大损失。
为了纪念达位国际有人,堂安侗族人民于2002年植下了这棵杉树并称之为”约翰.杰斯特龙树”。

The tree of Joan Jest
“A Brief introduction of Joan Jest”
Mr. Joan jest was born in 1952 at Tulin Norway and grown to a famous eco-museologist. As the scientific consultant of the Sino-Norwegian cooperative eco-museum in Guizhou province, he twice made light of traveling of thousand miles to Tang’An for the research and construction of the Eco-museum in the years of 1995 and 2000. On April 6 2001, as the heavy loss of the Sino-Norwegian cooperative projects, he unexpectedly died from cardiovascular disease when he was researching in Siberia of Russia.
Being esteemed with Dong ethnic custom and lifestyle, joan Jest had a deep love of Dong ethnic culture, and was enthusiastically welcomed to Dong villages.
He had devoted his energy for the construction of Tang’an eco-museum.
To commemorate the international friend Mr. Joan Jest the Dong people of Tang’an planted this Chinese fir in 2002 and named it as “The Tree of Joan Jest”.

Ho anche scovato su internet delle foto del signor Jest:




La seconda foto però ritrae Joan in compagnia di una ragazza non 侗 ma 长角发苗 (cháng jiǎo fā miáo) “Long horned Miao” (link).
Questa minoranza vive sempre nella provincia del 贵州 (Guìzhōu), a nord-ovest, ma non so esattamente dove.

Zhaoxing

Alla fine arrivammo a 肇兴 (Zhàoxīng) in piena notte.
Pur non essendo una meta turistica, la festività aveva attirato un buon numero di turisti, per la maggior parte cinesi.
Si tratta del più grande e antico villaggio Dong che esista, conta più di 3500 abitanti.
L’unica polverosa stradina di montagna che porta al villaggio era quindi relativamente trafficata, e soprattutto la strada principale del villaggio era intasata di auto e persone nonostante la tarda ora.
Trovammo a tentativi un posto dove passare la notte, e devo dire che si rivelò una scelta indovinata perché eravamo non lontano dalla strada principale ma abbastanza riparati dal caos, le stanze erano al terzo piano e il balcone dava su di una piazzetta.
I proprietari poi sono delle persone semplicemente squisite, hanno una bella cucina grande e fanno da mangiare divinamente.
La quantità di piazze e piazzette presenti in questi paesini ha una sua ragione d’essere: qui l’economia, per non dire la sussistenza, è basata sulla coltivazione del riso.
Le piantine di riso vengono raccolte e portate nel villaggio, poi con uno strumento artigianale a pedali i chicchi vengono separati dal fusto.
I chicchi devono poi essere fatti asciugare, c’è bisogno di esporli su di una grande superficie, ed ecco spiegate le piazze.
In quel periodo l’attività principale del villaggio era suonare il 芦笙 (lúshēng), uno strumento musicale fatto con canne di bambù.
Insomma definirlo “strumento musicale” forse è improprio, in quanto al massimo fa due note, una alta e una bassa: “piiiii” e “buuuuu”, e “piiiii” e “buuuuu”, e “piiiii” e “buuuuu” tutto il giorno.
Poi, non si suona mai da soli; ci sono sempre gruppi di almeno una decina di persone, solitamente due gruppi che fanno a gara a chi suona più forte.
A quanto ho capito dalle spegazioni di un abitante del luogo abbastanza brillo, ci sono due tipi di gara di lusheng: primo tipo, i due gruppi vanno su una montagna distante e tentano di farsi sentire nel villaggio soffiando a più non posso nel loro strumento.
Nel secondo tipo, ci si raduna in una delle piazze del paese e via si soffia a pieni polmoni tentando di fare più casino possibile.
Il protocollo prevede che ogni villaggio mandi in giro per gli altri villaggi la sua squadra di suonatori a sfidare le squadre degli altri villaggi.
Infatti per tutto il giorno avevamo notato sulle strade dei camion pieni di gente sorridente, chiedendoci cosa stessero facendo.
Giudicando dall’aspetto (e dalla fiatella) dei suonatori, direi che tutto il movimento in realtà è una scusa per bere l’impossibile.
Imperdibile una scenetta alla quale ho assistito, quando uno dei suonatori ormai ciucco da far paura venne cacciato dai compari perché stava suonando tra le fila della fazione avversaria.
Altra cosa notevole del villaggio sono le torri o pagode che dir si voglia, di cui avevo già scritto in un posto precedente, e che vengono chiamate 鼓楼 (gǔlóu) “Torri dei tamburi”.

Specialità: 糯米 (nuòmǐ) “riso glutinoso”. Pare che un villaggio delle vicinanze sia rinomato come il migliore al mondo per la produzione di riso glutinoso.

Ecco una foto di un ballo tipico, si vedono delle ragazze con il vestito di 亮布, poi ragazzi con il costume tradizionele e anche uno straniero coinvolto forzosamente nella danza nonostante fosse impegnato a reggere il figlioletto in braccio.



link flickr
Ecco poi dei link di altri turisti che hanno fatto foto più belle delle mie: 1, 2, 3, 4.

benzina

Partimmo quindi da 程阳 (Chéngyáng) alla volta di 肇兴 (Zhàoxīng), un villaggio sempre di etnia 侗 (Dòng).
L’intenzione era di arrivare in tempo per assistere ai festeggiamenti della festa di 中秋节 (Zhōngqiūjié) “Mezzo autunno”.
In questa occasione i vari villaggi Dong organizzano delle gare di 芦笙 (lúshēng) “Lusheng“, uno strumento musicale fatto con le canne di bambù.
Ci sarebbe piaciuto molto assistere alle gare, per cui ci mettemmo in cammino di buon’ora.
Avevo il serbatoio della macchina quasi a metà, un’autonomia di più di 200 Km, per cui non mi preoccupai più di tanto della benzina.
Anzi avevamo deciso che quando l’autonomia fosse scesa a 150 Km, allora avremmo incominciato a guardarci attorno per una stazione di servizio.
Sfortuna vuole che per più di 200 Km non trovammo nemmeno una pompa della benzina; nemmeno una pompetta, una tanica, una bottiglia di benzina. Niente.
Chiedendo a destra e a manca, alla fine un poliziotto di un villaggetto di montagna ci indirizzò verso un sobborgo dei dintorni dove c’era una pompa della benzina.
Tutti speranzosi (con autonomia ormai a circa 20 Km) ci inerpicammo per una strada sì asfaltata, ma infestata di maligne buche impossibili da evitare.
Arrivati alla stazione di servizio venimmo accolti dal sorridente gestore, il quale ci informò gentilmente che causa il ponte festivo, l’autobotte della benzina non era passata e quindi di benzina non ce n’era.
Che fare? Disperati, chiedemmo in giro se in paese ci fosse qualcuno che vendeva benzina al dettaglio; in teoria è una cosa abbastanza grave, ma a volte le officine dove fanno riparazioni tengono qualche tanica di scorta.
Sembrava che ci fosse un tizio appena fuori dal paese noto per questo commercio in benzina (se ne deduce che in quella zona l’autista dell’autobotte deve essere un tipo abbastanza volubile).
Cercando di schiacciare il meno possibile sull’acceleratore, riuscimmo ad arrivare in questo postaccio maledetto con una autonomia pari a zero: serbatoio vuoto.
Si trattava del posto più desolato, sporco, polveroso e infame di tutta la provincia.
Tanto per mettere la ciliegina sulla torta, il trafficante di benzina non era in casa.
Ci mettemmo quindi ad aspettare assieme ad un paio di furgoncini e dei ragazzi in moto, tutti bisognosi di carburante.
Aspetta ed aspetta, non arrivava nessuno. Lascio immaginare cosa volesse dire starsene sotto al sole in questo scenario degno di Mad Max (o Kenshiro) con due bambini piccoli.
Il nostro compagno di viaggio, che è una lenza, nel frattempo aveva già fatto amicizia con tutti e ad un certo punto annunciò che andava a comperare la benzina.
Saltò dietro ad una moto guidata da uno dei ragazzi e repentinamente scomparve.
Il tempo passava tra polvere, sole e cambi di pannolino, fino a quando finalmente ritornò con una tanica da 20 litri!
Oh gioia!
Passammo quindi al riempimento del serbatoio con il prezioso (pagato 4 volte il valore normale!) liquido e quindi ripartimmo alla volta della nostra meta.