Ecco l’atteso seguito del post precedente.
Passarono gli anni, altri viaggi in giro pel mondo, e venne il 2001.
Quell’anno mi andò di fare un altro viaggio in Cina, più o meno le stesse tappe di quello del 1995 ma con qualche variante.
Tutto sommato non fu affatto male, se non fosse che commisi un errore fatale: tornare nel villaggio più bello del mondo.
Una sola parola: sventrato. Sventrate le strade per chissà quale folle progetto di costruzione; sventrate le case di legno con i negozietti delle vecchine, e sostituiti con palazzoni di cemento e vetri blu.
I tibetani, spariti, sostituiti da una compagine di cinesi bercianti e sputazzanti.
Il monastero resisteva, ma ora accoglieva orde di turisti. Ho visto con questi miei occhi un monaco assalire fisicamente un turista cinese che si era lasciato sfuggire un commento di troppo.
Dev’essere stato difficile ma sono riusciti anche a togliere l’incanto delle steppe, con un posto di blocco a pagamento per chi esce dal villaggio per andare… da nessuna parte, c’è solo una strada polverosa infestata da gente in motoretta.
Di nomadi, nemmeno l’ombra.
I pellegrini sono anche aumentati, ma non sorridono più, e con loro sono arrivati anche i mendicanti, tanti, troppi.
Mi sono aggirato un pò, sono entrato a vedere il monastero, quattro chiacchiere con qualche monaco, che tristezza… avevano tutti il cellulare e nelle pieghe dell’abito nascondevano soldi.
Ho trascorso una sola notte in un ostello consigliato dalla Lonely Planet, che nel frattempo aveva inserito un paragrafo sul villaggio.
Il mattino dopo sono scappato via quasi in lacrime.
Non prima di essermi preso un ricordino: avevo fatto colazione con una roba a base di latte, e a metà strada mi è venuta un’intossicazione alimentare che mi ha azzerato per una settimana.
La chiave di volta del post comunque ruota attorno ad un incontro casuale capitato mentre ero ancora lì.
Mi ero fermato a chiedere un’informazione ad un tizio, abbiamo scambiato due parole e questo tutto soddisfatto mi ha detto “Ancora un anno e non riconoscerai più la vecchia Xiahe”.
Ho fermato appena in tempo il turbine di improperi che stava per prorompere dalla mia bocca, e l’ho guardato meglio: scappato dalla miseria nera di chissà quale sperduto villaggetto, basso, tracagnotto, sporco, denti gialli, capelli sparati in tutte le direzioni e… sguardo sognante puntato diritto sul luminoso futuro.
Cosa potevo dire a questo fenomeno? Con che diritto?
Il progresso comporta molti svantaggi, ma a quell’ometto non poteva fregare di meno delle casette in legno, alle quali avrebbe dato fuoco senza pensarci un attimo.
Mica possiamo dire a questa gente come devono comportarsi a casa loro.
Giù gli hutong di pechino, su obbrobri di cemento, noi italiani siamo proprio gli ultimi che possono aprire bocca.
Noi occidentali poi facciamo la nostra parte: se sulla Lonely Planet non fosse stata fatta menzione di questo luogo ameno, ci sarebbero stati meno turisti, e magari non ci sarebbero stati così tanti cambiamenti.
Chissà come sarà ora…