sauna

L’ultima novità delle folli serate cinesi è la 桑那浴 (sāngnàyù) “sauna”.
Sinceramente in passato ho evitato questi posti perché hanno fama di luoghi di prostituzione, ma ultimamente ho accettato di provare questo posto nuovo perché è stato un amico affidabile a garantirmi che si trattava di un luogo “pulito”.
Ci siamo andati in 4, cioè io più l’amico messicano, l’americano e il taiwanese (non è l’inizio di una barzelletta, ma l’elenco delle persone che frequento di solito).
Sarò breve: quattro o più piani, non ho ancora esplorato tutto.
Arredamento faraonico, quattro piscine a temperature diverse di cui una con pesci; sauna finlandese e bagno turco; inservienti dovunque, servizi di ogni tipo compresa sala “stravacco” con monitor personale per vedere la televisione; navigazione internet, ping-pong, frutta e succhi gratis a volontà, buffet a pranzo e a cena.
Tutto compreso nell’ingresso, una manciata di RMB; poi volendo ci sono anche massaggi di ogni tipo da pagare però a parte.
La carrellata di divertimenti mondani in città continua: recentemente sono andato a vedere Avatar in 3D nel nuovo centro commerciale dove c’è anche 沃尓玛 (wòěrmǎ) “Wal-Mart”, più vari ristoranti tra cui la churrascaria brasiliana, l’Ajisen giapponese, la pista di pattinaggio, sala giochi, parco bimbi, etc.
Di centri così ce ne sono due, l’altro è il Jusco, sulla stessa falsariga, non c’è il cinema ma in compenso c’è una steak house degna di nota.
Di steak house in città ce ne sono altre ma questa è l’unica a fare delle bistecche veramente buone.
Insomma, io sono arrivato qui nel 2007, e allora non c’era NIENTE a parte i soliti karaoke (bleah); uscire la sera era una depressione, il massimo divertimento era andare al ristorante.
In tre anni sono spuntati come funghi centri benessere, centri commerciali, centri residenziali, per non parlare delle strade nuove, ponti eccetera.
Certo non sarà Shanghai o Pechino ma per uno abituato all’andazzo di qualche anno fa, sembra di abitare a Simcity!
Ho imbroccato per caso una città che sta recuperando in fretta il progresso perduto in anni di sonnolenza.
La corsa allo sviluppo però non è affatto omogenea nelle varie città, dipende tutto da una serie di fattori geografici e politici.
Qui le cause sono collegate alle grosse aziende di Shenzhen che devono spostare i propri stabilimenti fuori dalla cerchia urbana in espansione.
La città dove vivo è una delle scelte più ovvie, e il governo municipale lo sa bene, per questo stanno costruendo come castori.
La musica nelle altre città può essere ben diversa, come non sembrano rendersi conto i giornalisti nel resto del mondo che continuano a proporre una Cina uniformemente dinamica.
Se ne può rendere conto chiunque viva in una grande città cinese: a 20 KM dal centro si piomba in un altro pianeta, e ci si accorge che le zone non contemplate dai piani regolatori sono ancora ferme all’età della pietra.
Il sistema 户口 (hòkǒu) poi non permette a chi è nato in campagna di trasferirsi facilmente in città; anzi in origine il sistema era nato proprio per limitare i flussi di popolazione dalle campagne verso le città.
Quindi se nasci in città, sei un cittadino e se sei nella città giusta vai anche a rimpinzarti di carne importata alla steak house. Se nasci in campagna, stai in campagna.
Tutto questo naturalmente porta a tensioni sociali mica da ridere.
Ora, quando i cinesi mi fanno la domanda n.2: “Si vive meglio in Italia o in Cina?”, solitamente rispondo che non è possibile fare paragoni: è come voler confrontare pere e mele, è questione di gusti.
La risposta corretta sarebbe “Si vive meglio in Italia perchè se nasci in provincia almeno hai la possibilità di fare lo stesso una vita decente”, ma non lo posso mica dire.

progresso

Ecco l’atteso seguito del post precedente.

Passarono gli anni, altri viaggi in giro pel mondo, e venne il 2001.
Quell’anno mi andò di fare un altro viaggio in Cina, più o meno le stesse tappe di quello del 1995 ma con qualche variante.
Tutto sommato non fu affatto male, se non fosse che commisi un errore fatale: tornare nel villaggio più bello del mondo.
Una sola parola: sventrato. Sventrate le strade per chissà quale folle progetto di costruzione; sventrate le case di legno con i negozietti delle vecchine, e sostituiti con palazzoni di cemento e vetri blu.
I tibetani, spariti, sostituiti da una compagine di cinesi bercianti e sputazzanti.
Il monastero resisteva, ma ora accoglieva orde di turisti. Ho visto con questi miei occhi un monaco assalire fisicamente un turista cinese che si era lasciato sfuggire un commento di troppo.
Dev’essere stato difficile ma sono riusciti anche a togliere l’incanto delle steppe, con un posto di blocco a pagamento per chi esce dal villaggio per andare… da nessuna parte, c’è solo una strada polverosa infestata da gente in motoretta.
Di nomadi, nemmeno l’ombra.
I pellegrini sono anche aumentati, ma non sorridono più, e con loro sono arrivati anche i mendicanti, tanti, troppi.
Mi sono aggirato un pò, sono entrato a vedere il monastero, quattro chiacchiere con qualche monaco, che tristezza… avevano tutti il cellulare e nelle pieghe dell’abito nascondevano soldi.
Ho trascorso una sola notte in un ostello consigliato dalla Lonely Planet, che nel frattempo aveva inserito un paragrafo sul villaggio.
Il mattino dopo sono scappato via quasi in lacrime.
Non prima di essermi preso un ricordino: avevo fatto colazione con una roba a base di latte, e a metà strada mi è venuta un’intossicazione alimentare che mi ha azzerato per una settimana.
La chiave di volta del post comunque ruota attorno ad un incontro casuale capitato mentre ero ancora lì.
Mi ero fermato a chiedere un’informazione ad un tizio, abbiamo scambiato due parole e questo tutto soddisfatto mi ha detto “Ancora un anno e non riconoscerai più la vecchia Xiahe”.
Ho fermato appena in tempo il turbine di improperi che stava per prorompere dalla mia bocca, e l’ho guardato meglio: scappato dalla miseria nera di chissà quale sperduto villaggetto, basso, tracagnotto, sporco, denti gialli, capelli sparati in tutte le direzioni e… sguardo sognante puntato diritto sul luminoso futuro.
Cosa potevo dire a questo fenomeno? Con che diritto?
Il progresso comporta molti svantaggi, ma a quell’ometto non poteva fregare di meno delle casette in legno, alle quali avrebbe dato fuoco senza pensarci un attimo.
Mica possiamo dire a questa gente come devono comportarsi a casa loro.
Giù gli hutong di pechino, su obbrobri di cemento, noi italiani siamo proprio gli ultimi che possono aprire bocca.
Noi occidentali poi facciamo la nostra parte: se sulla Lonely Planet non fosse stata fatta menzione di questo luogo ameno, ci sarebbero stati meno turisti, e magari non ci sarebbero stati così tanti cambiamenti.
Chissà come sarà ora…

altruismo

Settimana scorsa tornando a casa dall’ufficio in macchina, il bus davanti a me ha inchiodato e ha sbandato di lato.
Ha fatto così per evitare una persona riversa in mezzo alla strada in una pozza di sangue. Di fianco, una bicicletta accartocciata.
La strada in questione è veramente molto pericolosa: stretta, molto trafficata, numerosi mezzi pesanti, zero illuminazione.
Nessuno si è fermato ad aiutare il poveraccio.
Essendo già stato indottrinato sull’argomento non mi sono fermato nemmeno io, ma ignorando gli strilli dei colleghi cinesi a cui stavo dando uno strappo mi sono fermato poco più avanti e li ho costretti a chiamare il 119.
Poi ho aspettato che arrivasse l’ambulanza, ed è arrivata dopo un solo minuto perché evidentemente qualcun altro aveva chiamato.
Perché non fermarsi?
Semplice: perché il ferito potrebbe accusare il soccorritore di avere causato l’incidente, per poi pretendere i danni.
Se chi si ferma fosse straniero, l’eventualità sarebbe certa, in vista di un maggiore guadagno. Purtroppo sono noti molti casi del genere.
Possibile? Per una questione di soldi si lascia la gente in mezzo alla strada? Non c’è proprio traccia di sentimenti umani?
Si leggono molte discussioni sulla spiritualità dei cinesi, anzi degli esseri umani in generale, e a proposito vorrei raccontare un aneddoto che magari c’entra poco però rende l’idea, e poi è molto che lo volevo scrivere, e infine il blog è mio e ci scrivo quello che mi pare e piace.
Correva l’anno 1993 e io ero nella Shanghai di allora, senza torre della televisione, senza metropolitana, senza 金茂大厦 (Jīnmào dàshà), e 南京路 (Nánjīng lù) non era pedonale.
Mi sento vecchio e canuto, è facile provare questa sensazione in una nazione che cambia faccia da un giorno con quell’altro, il 1993 è lontano e qui in 16 anni cambia tutto.
Comunque me ne stavo rilassato a godermi il ventilatore nella mia stanza del dormitorio quando all’improvviso entrò uno spilungone vestito pesante che mi tese la mano e mi si presentò in un inglese con pesantissimo accento francese.
Si chiamava Marc, era partito da Parigi ed era arrivato in Cina da un paio d’ore per inseguire il suo sogno di imparare il cinese e vivere la sua avventura.
Stringemmo immediatamente sodalizio e poco dopo venni a sapere che sull’aereo aveva conosciuto un altro francese a nome Oliver, il quale era partito dalla Francia con lo stesso suo proposito ma con un livello di organizzazione leggermente superiore, nel senso che aveva già una sistemazione e un corso di lingua prenotato.
Marc aveva dato i suoi bagagli ad Oliver con l’intenzione di riprenderseli non appena avesse trovato un posto letto.
Se non fosse che nel trambusto dell’arrivo e spostamento in città (non immediato come ai giorni nostri), il foglietto con l’indirizzo di Oliver era andato perduto.
Partimmo quindi per una Brancaleonesca ricerca durante la quale visitammo un buon numero di università, fino ad approdare al SISU, dove finalmente ritrovammo Oliver e le cose andarono a posto.
A parte la bella giornata e i bei ricordi che mi ha lasciato, l’avvenimento è degno di essere riportato in questo contesto perché poi a cena raccontai l’accaduto ad un amico cinese, il quale mi guardò perplesso e disse: “Si vede che sei cristiano.”
Al mio sguardo allucinato poi proseguì dicendo “Un cinese non avrebbe mai aiutato così uno sconosciuto.”
Cari lettori, rialzatevi dal pavimento e rimettevi i cappelli, perchè un’uscita come questa è perfettamente naturale in una società permeata dai dettami del Confucianesimo.
Non mi addentrerò in una discussione sull’argomento ma non posso fare a meno di citare la singola frase che ogni appassionato di Cina dovrebbe sapere (anche se non tutti i cinesi la conoscono):

君君、臣臣、父父、子子 (jūnjūn, chénchén, fùfù, zǐzǐ)

Wikipedia dice che una traduzione potrebbe essere

There is government, when the prince is prince, and the minister is minister; when the father is father, and the son is son.
(Analects XII, 11)

Questo riassume il concetto più importante della dottrina e cioè le relazioni tra le persone.
L’ordine nella società umana nasce dal rispetto delle gerarchie: ognuno al suo posto, e Confucio ci dice anche qual’è l’ordine di importanza:

  1. Tra governante e suddito
  2. Tra padre e figlio
  3. Marito e moglie
  4. Tra amici
  5. Tra fratelli

Come si vede non c’è traccia degli “altri”, quelli di “ama gli altri come te stesso”.
Tutto ciò non potrà certo aiutare quel poveraccio steso in mezzo alla strada che continuerò a vedere ogni volta che passerò di lì.
Spero però che il discorso possa aiutare a capire come la famiglia, che conta tre delle cinque relazioni fondamentali tra persone, sia tuttora il perno e fondamento della società cinese.
Aggiungiamo la forte competizione sociale tra gli individui ed ecco che la poca considerazione verso il prossimo non è più così inspiegabile.
Certo però che rivoltarsi contro il proprio soccorritore…

mele

Un piccolo update ad un precedente post, un altro piccolo “insight” sulla Cina e sui cinesi.
Oggi in ufficio volevo mangiare una mela e sono andato a cercarne una nel frigorifero che abbiamo qui al piano, dove teniamo le “scorte tattiche”.
Stranamente, nel frigo non c’era frutta.
In effetti ieri la signora delle pulizie l’aveva pulito, mi ricordavo di averla vista mentre tirava fuori tutto.
Ma ero anche convinto che poi avesse rimesso tutto dentro!
Guardo meglio e cosa scopro?
Dopo avere pulito il frigo, ha messo tutta la frutta nel congelatore.
Ora con le mele si può giocare a biliardo, e le arance potrebbero servire come proiettili per un cannone di medio calibro.
Certo non è mica un grosso problema, ma santa polenta, le domando: “Ma scusi, signora, non vede che così non va bene? Non lo sa cos’è il congelatore?”
Risposta: “Pensavo che fosse lo stesso.”
La cruda realtà: la signora non sa cos’è il congelatore, e probabilmente ha visto un frigo per la prima volta qui da noi.

10

Oggi niente post sulla Cina!
Mi unisco invece al folto coro dei post “10 cose che ho imparato da Star Trek”:

  1. Gli alieni sono tutti fondamentalmente degli esseri umani con nasi o orecchie bizzarri. Persino quelli con il sangue verde hanno la pelle del colore uguale alla nostra!
  2. Mai mai mai mai andare da nessuna parte assieme a Kirk e un altro protagonista.
  3. Il teletrasporto è bello perché a volte parti da seduto e arrivi in piedi o viceversa.
  4. Nel futuro saremo tutti belli.
  5. Le navi interstellari si costruiranno in cantieri a terra.
  6. Per distruggere un pianeta con la materia rossa devi prima scavare un pozzo fino al nucleo e lanciare un marchingegno diabolico, mentre per una supernova basta buttarcela sopra in un bicchierino.
  7. In un pianeta di ghiacci ci possono essere bestie senza pelliccia.
  8. Certo ci sono i faser, ma vuoi mettere una bella spada (retraibile)?
  9. Quelli che vengono dal futuro ti fanno fare carriera più velocemente.
  10. Se sposi un vulcaniano poi hai accesso ai più reconditi segreti della loro cultura (compresa l’arca katrica), mentre il malcapitato figlio deve portare un marchio infamante per tutta la vita.

traffico 2

Del traffico cinese ho già scritto in precedenza.
Dopo il recente viaggio ritengo di poter aggiungere un ulteriore capitolo sull’argomento.
Ecco quindi alcuni utili consigli per chi decidesse di intraprendere un viaggio in macchina sulle strade statali in Cina.
Al di fuori delle città cinesi le strade sono dominio incontrastato dei camion.
Generalmente di colore blu, sono caricati senza eccezione fino a ben oltre qualsiasi limite ragionevole con tutti i materiali che si possono immaginare, ma principalmente, nell’ordine: pietroni, ghiaia, terra, spazzatura, misteriosi macchinari, poi tutto il resto.
Immagino la consuetudine sia questa: alla partenza il camion viene caricato formando una piramide alta 20 metri, poi prima di uscire dalla porta principale i sobbalzi in cortile riducono il mucchio ad una decina di metri; durante il primo chilometro l’altezza si riduce ad un paio di metri, e il resto dell’eccesso viene perso durante il viaggio.
Per questa ragione è altamente sconsigliabile viaggiare dietro ad un camion, altrimenti si corre il pericolo di venire colpiti da pietroni, ghiaia eccetera.
Per essere completamente sicuri, è meglio anche evitare di stare davanti o di lato ad un camion.
Non esiste forza al mondo che possa fare deviare un camion dalla sua traiettoria, a parte i secondi nella classifica dei padroni della strada: i pullman.
In Cina, per consuetudine, quasi ovunque chi ha bisogno di salire su di un pullman non deve fare altro che sistemarsi al bordo della strada in un qualsiasi punto e agitare la mano quando vede il mezzo di suo interesse.
Parimenti, chi deve scendere parla con l’autista e negozia un punto che non sia troppo fuori dal percorso prestabilito e non troppo lontano da casa propria.
Morale, non c’è modo di prevedere quando un pullman in movimento potrà inchiodare oppure quando un pulman fermo scatterà in avanti. In entrambi i casi, la decisione viene presa senza prendere in considerazione fattori esterni fastidiosi come eventuali altri veicoli nelle vicinanze, e nel 90% dei casi, senza mettere la freccia.
Altro protagonista del dramma è il 面包车 (miànbāochē), cioè i minibus o furgoncini che dir si voglia, chiamati così perché la forma ricorda il classico pane a cassetta.
Il 面包车 ha solo due marce: “troppo lento”, e “troppo veloce”. In città mettono sempre “troppo veloce”, mentre fuori hanno sempre “troppo lento”.
In entrambi i casi, il guidatore sfoggia per tutto il tempo un sorriso di piena soddisfazione, come una specie di estasi mistica.
E questi sono i casi “normali”; non me la sento di includere in questa categoria i trabiccoli dei contadini, che meritano un discorso a parte.
Come definirli? Ce ne sono di tutte le forme, coperti o scoperti; a quattro, tre o due ruote; con zero, uno o più rimorchi; uno, due, tre o più posti a sedere.
Uniche caratteristiche comuni a tutti: sono completamente ricoperti di fango misto a grasso, non hanno luci di nessun tipo e hanno la tendenza a balzare fuori all’improvviso da stradine laterali invisibili, di notte, senza guardare prima da nessuna parte.
In una parola, sono un incubo.
Non esiste viottolo di montagna talmente remoto da essere al sicuro dai trabiccoli dei contadini: il pericolo è sempre in costante agguato.
Per completare il quadro delle strade notturne, aggiungiamo le “misteriose figure in nero”.
Non sono sicuro del loro preciso aspetto perché le ho sempre viste di sfuggita, illuminate dai fari della macchina per una frazione di secondo; sospetto comunque che siano abitanti dei villaggi di montagna che in piena notte e nell’oscurità più totale, non hanno di meglio da fare che sedersi sui paracarri delle strade, in curva, vestiti di nero, a 20 centimetri dalla carreggiata.
Bisogna premettere che l’alternativa a questo comportamento apparentemente irrazionale sarebbe rimanere in casa a guardare la televisione cinese, il che potrebbe effettivamente causare una certa tendenza suicida.
Ogni tanto, giusto per evitare che la monotonia del viaggio prenda il sopravvento, ci sono i sorpassi.
Mi riferisco alla seguente situazione: un carretto che va a 2 kmh, soggetto a sorpasso da parte di un trabiccolo; sopraggiunge un camion, che a sua volta sorpassa. Arriva un pulman il quale, ovviamente, sorpassa pure lui.
L’allegra compagnia occupa tutte e 4 le corsie della pur larga strada.
Tu, omino bianco, ignaro alla guida del tuo veicolo, dopo una apparentemente innocente curva te li trovi davanti all’improvviso; tutti si mettono a strombazzare e sfanalare minacciando di travolgerti in zero secondi.
Che fai?
La prima volta mi sono bloccato sul bordo della strada, praticamente accucciato come un cagnolino impaurito e ho aspettato frignando che la carovana passasse alle mie spalle.
Poi mi sono reso conto che, data l’allarmante frequenza del ripetersi di questa situazione, questa strategia avrebbe allungato i tempi del viaggio in maniera considerevole.
Una più approfondita analisi ha rivelato che mostrando una adeguata sfacciataggine e sprezzo del pericolo, l’omino bianco riusciva spesso a guadagnarsi uno spazietto per passare.
La faccio breve: alla fine mi sono trasformato in un mostro, pregustando il momento del successivo sorpasso per dare fiato alle trombe e abbagliare tutti con i fari della MIA macchina, accelerando incontro al nemico in rotta di collisione, in una spericolata gara di coraggio per vedere chi cedeva per primo.
Devo dire che gli altri occupanti della macchina però non gradivano molto.

inverno

L’inverno è arrivato Anche qui . Oggi è il 18 novembre, e da una settimana mi sto crogiolando in temperature miracolosamente al di sotto dei 30 gradi.
Forse mi sto crogiolando un pò troppo, visto che mi sono preso il raffreddore, però il primo giorno di fresco era imperdibile, me lo sono voluto godere tutto in maglietta, con le ovvie conseguenze.
La prima e più grande novità è che non si suda, quindi non si torna a casa fradici ogni giorno.
La seconda è che le zanzare sono sparite.
Le più resistenti, quelle col cappotto, ci hanno messo un pò ma alla fine ho definitivamente tolto la zanzariera dal letto.
Mi dicono che in Italia fa freddo; quell’Italia che nella mia (bacata) memoria è sempre associata a profumo di pane fresco e olio d’oliva, e ora sta per venire ridotta ad una giungla fumigante da un manipolo di arroganti e viscidi politicanti.
Mi si consenta un attimo di calcolata malinconia, ma quando leggo il blog di Beppe, veramente mi cadono le braccia.
Torniamo a noi: siccome il Guangdong è un posto normalmente caldo, con solo un paio di mesi all’anno di freddo non troppo intenso, il concetto di riscaldamento non è molto recepito dalla popolazione.
Tutti dicono che basta mettere qualche strato di vestiario in più, alcuni si spingono addirittura a dirmi che in Italia fa molto più freddo che qui, e che dovrei quindi essere abituato.
Rispondo io, sì fa più freddo, ma dovunque c’è il riscaldamento!
Qui magari non fa tanto freddo, ma quel poco che c’è me lo becco tutto fin nelle ossa!
Morale, come diceva un personaggio mitico che ha transitato da queste parti in passato, “Il Guangdong è uno dei posti più freddi del globo”, come dargli torto?
In casa mia ho voluto almeno i condizionatori a doppia funzione, che d’inverno sparano aria calda.
In ufficio sfortunatamente questa funzionalità non è disponibile, per cui al momento indosso:

  1. maglietta di lana
  2. calzamaglia integrale (superpippo)
  3. Maglioncino
  4. camicia
  5. golf
  6. giacca

Praticamente un 米其林人 (mǐqílín rén) “Omino michelin”.

Miao

L’ultima tappa del viaggio e’ stata 岜沙村 (Bāshā cūn), un villaggio 苗族 (Miáozú) “Etnia Miao“.
Il nome del villaggio in lingua Miao significa “molta vegetazione”, in effetti la montagna è lussureggiante.
Fino a tempi relativamente recenti, la zona era accessibile soltanto a piedi, e quando dico piedi, intendo che non ci si arrivava nemmeno a cavallo.
Ultimamente il governo ha mostrato un interesse quasi ossessivo per i villaggi entnici e ha coperto tutti con una montagna di soldi, quindi ora c’è una bella strada che arriva fino al centro del paese, negozi, una piazza, e un sacco di macchine di turisti.
Attenzione, tanto meglio per gli abitanti, finalmente si possono scrollare di dosso la miseria di secoli e godere un po’ anche loro del “miracolo cinese”.
Questa gente si veste di 亮布 (liàngbù) come i loro cugini 侗 (Dòng), ma a differenza di questi ultimi, i Miao vestono esclusivamente di quello, anche quando vanno a lavorare nei campi (così dicono).
Gli uomini si rasano tutta la testa tranne un cerchio alla sommità, dove i capelli vengono lasciati crescere lunghi e raccolti in un codino; portano anche una specie di piccolo turbante.
Anche loro usano il 芦笙 (lúshēng) spesso e volentieri, e tutti (dico tutti, anche i bambini) portano un fucile; alla cintura hanno sacchetti con pallini e polvere da sparo.
Questa del fucile è una notizia sensazionale, infatti in Cina è proibito possedere armi; nemmeno i poliziotti girano armati, tranne il reparto speciale dei 武警 (wǔjǐng), la temuta “polizia armata”.
Per i Miao è stata fatta un’eccezione, considerando in primis che per loro è un costume radicato da tempo immemore, in secundis che si tratta di archibugi ad avancarica costruiti a mano, buoni al più per spaventare gli uccellini nei campi.
Ecco qualche foto, che conclude il ciclo dei post dedicati al viaggio.
Infatti da 岜沙 siamo poi tornati a casa, fermandoci a 桂林 (Guìlín) solo per passare la notte.


girls
flickr


villagers
flickr


kid (with gun)
flickr


risaie

Il villaggio di 堂安 (Táng’ān) è immerso in un bucolico paesaggio di terrazzamenti coltivati a riso, e offre una spettacolare veduta sulla valle di 肇兴 (Zhàoxīng).
Ho trovato stupefacente come ogni singolo metro quadrato di terreno disponibile venga sfruttato: ho visto piantine di riso in spazi non più grandi di due metri quadri!
Ecco qualche foto:






Link Flickr: link 1, link 2, link 3, link 4.

Nell’ultima foto si vedono chiaramente le piantine di riso poste ad essiccare.

Tang’An

Durante la permanenza a 肇兴 (Zhàoxīng) andammo a fare una gita in un altro villaggio 侗 (Dòng) ancora più sperduto, di nome 堂安 (Táng’ān); altitudine circa 1000 metri.
All’ingresso del villaggio c’è un albero con davanti una lapide di pietra la quale riporta la seguente iscrizione:

约翰.杰斯特龙树

约翰.杰斯特龙树简介

约翰.杰斯特龙是世界著名的生态博物馆学家。1952出生于挪威王国的图顿。他是中挪文化合作项目贵州生态博物馆群的科学顾问。为堂安生态博物馆的建设,他不远万里,曾于1995年、2000年两次到堂安进行科学考察,倾注了心血。约翰.杰斯特龙先生尊重侗族人民的风俗习惯,热爱侗族文化,受到了侗族人民的衷心爱戴和诚挚欢迎。2001年4月6日,他在俄罗斯西伯利亚从事研究工作时心脏病突发,猝然去世。他的逝世,是中挪文化合作项目的重大损失。
为了纪念达位国际有人,堂安侗族人民于2002年植下了这棵杉树并称之为”约翰.杰斯特龙树”。

The tree of Joan Jest
“A Brief introduction of Joan Jest”
Mr. Joan jest was born in 1952 at Tulin Norway and grown to a famous eco-museologist. As the scientific consultant of the Sino-Norwegian cooperative eco-museum in Guizhou province, he twice made light of traveling of thousand miles to Tang’An for the research and construction of the Eco-museum in the years of 1995 and 2000. On April 6 2001, as the heavy loss of the Sino-Norwegian cooperative projects, he unexpectedly died from cardiovascular disease when he was researching in Siberia of Russia.
Being esteemed with Dong ethnic custom and lifestyle, joan Jest had a deep love of Dong ethnic culture, and was enthusiastically welcomed to Dong villages.
He had devoted his energy for the construction of Tang’an eco-museum.
To commemorate the international friend Mr. Joan Jest the Dong people of Tang’an planted this Chinese fir in 2002 and named it as “The Tree of Joan Jest”.

Ho anche scovato su internet delle foto del signor Jest:




La seconda foto però ritrae Joan in compagnia di una ragazza non 侗 ma 长角发苗 (cháng jiǎo fā miáo) “Long horned Miao” (link).
Questa minoranza vive sempre nella provincia del 贵州 (Guìzhōu), a nord-ovest, ma non so esattamente dove.