Xiahe

Ricordi di gioventù: nel 1995 ero venuto in Cina in vacanza, e avevo fatto un bel giretto: Pechino, 河南 Hénán, 甘肃 Gānsù, 新疆 Xīnjiāng, 内蒙古 Nèiměnggǔ.
Di passaggio nel 甘肃 ero andato a visitare 夏河 Xiàhé, un villaggio di etnia tibetana in cima a montagne di 3000 metri.
Non sapevo nemmeno che questo villaggetto ospitava uno dei pochi centri di culto del buddhismo tibetano fuori dal Tibet, ed ero impreparato quando mi sono trovato in mezzo ad paradiso di ordine e pulizia svizzera, popolato da persone con sorrisi irresistibili.
Arrivavo dallo 新疆 Xīnjiāng, dove avevamo visitato 乌鲁木齐 (Wūlǔmùqí) “Urumqi” e l’oasi di 吐鲁番 (Tǔlǔfān) “Turfan”.
Posti affascinanti, popolati dalla minoranza etnica 维吾尔 (Wéiwúěr) “Uyghur”.
Purtroppo devo ammettere che da quelle parti sono stato testimone di parecchia crudeltà verso gli animali, specialmente verso i poveri asini, selvaggiamente picchiati alla minima occasione.
Dico questo solo perché poi a 夏河 invece ho visto l’esatto opposto: i tibetani trattano gli animali come bambini, anzi come qualcuno che crede che l’anima dei propri cari defunti possa trasmigrare negli animali domestici.
Mi ricorderò sempre di quando vidi un asino che tirava un carretto; dietro, due bambine che mentre camminavano discutevano tra loro.
L’asino ormai conosceva la strada talmente bene che tirava il carretto da solo, senza bisogno di nessuna guida.
Senonché quel giorno la destinazione doveva essere diversa, perché ad un certo punto le bambine corsero davanti per fermare l’asino e convincerlo a prendere un’altra strada a forza di carezze. Carezze! Se ripenso ai poveri asini malmenati dai (peraltro nobili) Uyghur, mi viene la pelle d’oca ancora oggi.
A 夏河 poi c’è il monastero di 拉卜楞 (Lābǔlèng) “Labrang”, all’epoca popolato da circa 900 monaci e meta di pellegrinaggio di tibetani che si facevano distanze immani a piedi (e spesso prostrandosi in terra ad ogni passo) apposta per fare il giro degli stupa.
I tibetani mi hanno lasciato un vuoto nell’anima: mai visto gente di così buon cuore e disposizione d’animo, tutti sorridenti e ben disposti verso il prossimo.
I dintorni poi erano mozzafiato. un giorno abbiamo affittato delle biciclette e ci siamo inoltrati nella steppa che circondava il villaggio, per un sentiero che presto finì nel nulla. In lontananza si vedeva un puntino nero, e ci dirigemmo verso di esso.
Era una tenda di nomadi, che ci accolsero con calore e ci offrirono il tè.
In quella tenda, in un attimo di pausa, mi accorsi che non si udiva il minimo suono: non un ronzio di insetto, non un refolo di vento, non un essere umano per chilometri, niente. Il nulla.
Era il posto più bello che avessi mai visitato.
(Continua nel prossimo numero: “Il progresso e i suoi effetti distruttivi sui bei posti di montagna”, ahimé)

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