How to f**k the white monkey for fun & profit 101: case study #6

Dove eravamo rimasti?
Il nostro Brambilla Cuor di Leone ormai le ha provate proprio tutte; è pure dimagrito, ha perso qualcuno dei pochi capelli che rimanevano ad ornare la sua augusta capoccia, ha difficoltà a dormire, insomma è ridotto ad uno straccio.
La notte rimane sveglio a fissare il soffitto, mentre il suo cervello come in una maratona di film d’essai gli ripropone l’incessante trafila dei suoi tentativi falliti.
Si consola solo pensando che alla fine, tutto sommato, la Cobram non ha sofferto più di tanto.
Certo non si sono realizzati i favolosi guadagni prospettati, anzi si è perso qualcosina, ma l’azienda è solida, i prodotti ci sono e si vendono.
Però rimane sempre quel pensiero fisso in fondo al cervello che ogni tanto fa capolino mandando raggi colorati da oltre l’orizzonte, facendo intuire un persistente sventolio di quello striscione dai colori sfolgoranti: “IL MERCATO PIÙ GRANDE DEL MONDO”.
Passano i giorni, che diventano settimane e mesi; l’azienda procede tranquilla e di Cina non si parla quasi più, eccetto qualche battutina sarcastica dei dipendenti alla macchina del caffé, ma solo quando il Bramb non è a portata di orecchio.
Un giorno però accade l’impensabile: senza nessun preavviso, come un mago che bussi alla porta di uno Hobbit, ecco che alla porta della Cobram si presenta un cinese.
L’ardito orientale si presenta come signor Z. ed esige un colloquio con il titolare.
Il Brambilla quasi non ci crede: si frega le mani sogghignando e si prepara a rigurgitare addosso al malcapitato tutto l’astio accumulato in anni di soprusi.
Il cinese però esordisce con toni pacati, nel suo italiano fortemente accentato racconta storie di malcapitati imprenditori e dei loro insuccessi nella Terra di Mezzo, storie che ricalcano in maniera impressionante quanto successo alla Cobram.
Addirittura cita nomi che fino a qualche tempo prima deridevano la Cobram per non essere riuscita a sfondare in Cina.
Il Bramb è come ipnotizzato; non pensa più alla sua progettata rivalsa nei confronti di questo rappresentante del popolo da cui si sente tradito. Da una parte si sente quasi violato, dall’altra è sollevato al pensiero di non essere l’unico ad essersi fatto sedurre dalle canzoni delle sirene cinesi.
Il Figlio del Cielo intanto continua imperterrito, passando a descrivere i recenti sviluppi che hanno portato insignificanti città di provincia a diventare capitali del commercio internazionale.
Il governo cinese tiene molto al progresso, all’amicizia tra popoli e ai rapporti commerciali con l’estero.
Al punto che sono state concesse piogge di finanziamenti, sono state fatte detonare barriere doganali, in pratica si sono aperte luminose autostrade dove transitano merci di ogni sorta in entrambe le direzioni.
A questo punto il Brambilla si riscuote dal suo torpore e sbotta: “Ma cosa credi che io non le so queste cose? È tutto bello finché non ci provi davvero, e poi rimani impigliato come un pesce all’amo mentre gli squali ti spolpano fino all’osso!”
L’orientale fa sfoggio della più imperturbabile calma confuciana. È proprio qui che sta il busillis, caro imprenditore italiano: inutile rischiare di persona.
Brambilla rimane folgorato e rimane ad ascoltare a bocca aperta quello che propone il suo interlocutore dagli occhi a mandorla.
Si tratta di un nuovo centro commerciale appena costruito, interamente dedicato al made in Italy. Si trova in una località poco distante da moderne grandi città, collegata ad esse da nuove autostrade e scintillanti treni ad alta velocità.
Il governo cittadino cede spazi completamente aggratis, incluso elettricità e personale.
Sono in via di finalizzazione accordi con il governo provinciale per l’istituzione di zone a trattamento speciale dove parcheggiare le merci importate senza pagare dazi fino al momento in cui ce ne sarà effettivamente bisogno.
Bisogna solo spedire la merce, che volerà via dagli scaffali in men che non si dica.
In pratica: investimenti zero.
Il Brambilla è un po’ sospettoso. È comprensibile, dato che le precedenti sconfitte gli bruciano ancora.
D’altra parte però la nuova prospettiva non gli dispiace: si tratta di un’iniziativa cinese, tutti i rischi sono loro, lui deve solo metterci un container di merce e poi si vedrà.
Non deve nemmeno andare in Cina di persona.
Ma siccome il Bramb è il Bramb, e lui sì che ha fatto la gavetta eccetera, e non si fida di nessuno, chiede di andare a fare un giro conoscitivo sul posto.
“Non c’è nessun problema”, risponde con un sorriso il cinese; “anzi ci andiamo insieme”.
Ecco che si configura l’ennesima missione in Cina, stavolta un poco più in sordina delle precedenti. Il Bramb e qualche altro imprenditorucolo, guidati dal signor Z., visitano questo mall nelle fasi finali della costruzione.
Rimangono tutti impressionati.
Il centro commerciale è a dir poco faraonico, luccicante di marmi e brillante di luci di tutti i colori.
La città è pure carina, anche se mai sentita prima; effettivamente è anche ben collegata ad altre città più grandi, egualmente mai sentite, ma che vantano numeri consistenti in quanto popolazione, GDP eccetera.
Le condizioni poi sono vantaggiosissime: zero affitti, zero costi di manutenzione, elettricità gratis, zero tasse per i primi due anni di attività.
La città poi si prepara a diventare una specie di capitale del commercio internazionale, proprio come Yiwu.
Beh, pensa il Brambilla, un container si può anche mandare. Detto fatto, al ritorno nel Bel Paese si organizza una spedizione di prodotti assortiti.
Questa prima spedizione si deve sdoganare tramite i soliti canali, perché la zona a trattamento speciale non è ancora pronta (**DRIIIN***… primo campanello di allarme).
Arriva il momento dell’inaugurazione: altoparlanti a manetta, striscioni, gran discorsi, risi e bisi.
Il punto vendita COBRAM è un gioiello: lustro e luccicante, bene illuminato, ben due signorine in divisa.
Ma… di “compratori” nemmeno l’ombra.
“Arriveranno”, dice flemmatico Mr. Z.
Ebbene, la facciamo breve… i “compratori” non arriveranno mai, e le folle che hanno invaso il centro commerciale all’apertura erano solo curiosi squattrinati provenientei dalle campagne circostanti.
La “gabola”, come si dice dalle mie parti, è che né al governo cittadino, né al management del mall, a nessuno insomma sin dall’inizio non importava niente degli espositori italiani. Non esistono “compratori”, la città non compare in nessuna mappa delle rotte commerciali.
A tutti quanti importa solo di riempire in qualche modo gli spazi per l’inaugurazione in modo da far vedere che il centro commerciale è un successo.
Perché tutto questo? Per giustificare il prestito ottenuto dal governo centrale.
Infatti il faraonico mall è stato costruito con i soldi che audaci imprenditori cinesi hanno munto da Pechino o dalla provincia sfruttando qualche iniziativa o programma roboante di retorica comunista tipo “Costruire edici commerciali per aggiungere valore alle zone depresse”.
Questo tipo di prestiti prevede poi dei parametri ben precisi tipo “X numero di negozi, Y percentuale di stranieri”.
La verifica dei parametri viene effettuata una sola volta, dopodiché succeda quel che deve succedere.
Ecco cosa voleva veramente mister Z.: d’accordo con il management del mall e con il governo cittadino, l’unico interesse in gioco era riempire i negozi in tempo per l’inaugurazione.
Il seguito della storia è molto triste. Gli accordi con il governo per l’abbattimento dei dazi si rivelano per quello che sono, e cioè fumo e vapore.
Nessuno compera niente, e le merci invece di volare via rimangono appollaiate sugli scaffali a fare polvere.
I successivi container approdati alla dogana sono fermi in attesa che qualcuno paghi i dazi, l’alternativa è rimandare tutto indietro.
Ben presto, le file di luccicanti negozi abbassano le serrande e il grande mall prosegue il suo cammino predestinato, cioè diventare una cattedrale nel deserto che la cattiva manutenzione ridurrà ad un rudere pericolante nel giro di qualche anno.

N.B. quanto scritto l’ho vissuto in prima persona avendo fatto l’interprete al Brambilla di turno

proverbi

Oggi ho ricevuto un messaggio che tra le solite esternazioni riguardanti beghe su ordini e tempistiche non rispettate, riportava questa perla: 冰冻三尺,非一日之寒 (bīng dòng sān chǐ, fēi yī rì zhī hán).
Non si tratta del solito 成语 ma di uno 谚语 (yàn yǔ), un proverbio.
La traduzione letterale srebbe “Per ghiacciare fino a tre piedi (di profondità) non basta un giorno di freddo.”
Qui 尺 (chǐ) è un vecchio amico, presente in 尺寸 (chǐ cùn): “misura, misurazione” e 英尺 (yīng chǐ): “piede”, l’unità di misura imperiale, quella che si sente sempre nei film americani quando c’è un aereo “a tremila piedi”.
Ebbene tutta ‘sta pappina sarebbe “Roma non fu fatta in un giorno”, per dirla con una traduzione naturale.
Chiaramente c’è tutta una disciplina accademica dei proverbi, che non sono idolatrati come i 成语 ma ugualmente spesso sono molto poetici:
蜻蜓低飞江湖畔,即将有雨在眼前 (qīng tíng dī fēi jiāng hú pàn jí jiāng yǒu yǔ zài yǎn qián) “Quando le libellule volano basse tra fiumi e laghi, la pioggia sta per cadere”
朝霞不出门,暮霞行千里 (zhāo xiá bù chū mén, mù xiá xíng qiān lǐ) “Bagliore mattutino non esco di casa, bagliore la sera posso camminare per mille miglia” Questo è un po’ come il nostro “rosso di sera”
E così via, anche questi non finiscono più.

Ventennio

Ohibò, vent’anni dal primo post!
È vero, i primi post sono parecchio caotici e mancano le immagini, perché la prima versione era su GeoCities; poi ci sono stati vari passaggi su altri provider, una storia sofferta.
Aggiungiamo anche che in effetti il blog ha compiuto venti anni in Aprile, ma non è che sto qua tutti i giorni a contare quanto tempo è passato: mi sono accorto solo adesso, ecco.
Comunque, auguri a me!

29: fiori

Oggi parliamo dello stratagemma 树上开花

树上开花 (shù shang kāi huā)

stratagem 31
Stratagemma 29: 树上开花

“树上开花” si traduce letteralmente come “fioritura sull’albero”, “fiori sull’albero”.

Questo stratagemma prevede di presentare qualcosa di insolito o inaspettato per attirare l’attenzione dell’avversario, e poi sfruttare la sua sorpresa per colpirlo.

A differenza di altri stratagemmi dello stesso tipo volti ugualmente a distrarre l’attenzione del nemico con sottili sotterfugi, questo implica l’utilizzo di tecniche spettacolari e mirabolanti.

L’idea alla base di questo stratagemma è sempre la stessa, e cioè usare l’inganno e la sorpresa per sconfiggere l’avversario, ma inducendo il nemico a pensare “questa è troppo grossa, non può essere un trucco”.

La storia cinese è ricca di aneddoti del genere, su tutti citiamo come esempio quanto accadde nel 208 DC durante la 长坂坡大战 (cháng bǎn pō dà zhàn) “Battaglia di Chang Ban”, come raccontato nel 三国演义 (sān guó yǎn yì) “Romanzo dei tre regni”.

Tralascio di proposito tutto il pippone preliminare di chi ha attaccato/tradito/sconfitto/insultato chi, vengo al sodo e cioè alla mossa del generale 张飞 (Zhāng Fēi) “Zhang Fei”, quando il suo superiore 刘备 (Liú Bèi) “Liu Bei” dovette darsela a gambe di fronte all’invincibile 曹操 (Cáo Cāo) “Cao Cao” che lo stava inseguendo intenzionato a suonargliele di santa ragione.

Possiamo solo immaginare la faccia del povero Zhang Fei quando il suo furbo superiore gli ordinò di restare indietro a coprire la ritirata con solo una trentina di soldati a far fronte all’intera armata avversaria.

Comunque il valente Zhang Fei non si perse d’animo e ordinò ai suoi soldati di addentrarsi nella foresta e tagliare dei rami dagli alberi, di legarli ai cavalli e correre avanti ed indietro sollevando più polvere possibile.

Zhang Fei si mise sul ponte che conduceva alla foresta, da solo, sul suo cavallo nero, armato di una sola lancia.

Quando Cao Cao arrivò vide Zhang Fei bello tranquillo sul ponte, mentre dietro di lui un polverone in movimento suggeriva la presenza di un gran numero di soldati. Beh proprio tranquillo no, infatti pare che gridasse con voce tonante “我乃燕人张翼德也!谁敢与我决一死战?” ( wǒ nǎi yàn rén zhāng yì dé yě! shuí gǎn yǔ wǒ jué yī sǐ zhàn?) “Sono Zhang Yide (uno dei suoi tanti nomi) di Yan! Chi osa sfidarmi in combattimento all’ultimo sangue?”.

Fattostà che nonostante la sua leggendaria sagacia, Cao Cao credette che si stesse preparando un’imboscata e ordinò ai suoi di fermarsi, garantendo così il successo della fuga di Liu Bei.

In tempi moderni un ottimo esempio potrebbe essere la trasmissione radiofonica del 1938 quando l’allora quasi sconosciuto Orson Welles ebbe la brillante idea di raccontare “War of the Worlds” come se i fatti stessero accadendo realmente.

In quell’occasione moltissime persone credettero alla trasmissione, fino al verificarsi di episodi di isteria di massa.

Il furbo Orson vide la sua carriera proiettarsi nell’olimpo di Hollywood, con i risultati che tutti sappiamo.

Forse però la plama d’oro va alla “Operation Fortitude” nella WWII, quando gli alleati fecero credere ai nazisti che avrebbero invaso la Norvegia.

Leggendo di cosa furono capaci, viene da pensare che dopotutto gli alleati ebbero anche di che divertirsi: finti carri armati gonfiabili, finti aerei di cartone, finte trasmissioni in codici facili da decifrare, e l’elenco potrebbe continuare a lungo.

Morale che i nazisti abboccarono inghiottendo tutta la lenza, l’amo e la canna, e dando così agli alleati un notevole vantaggio tattico quando invece sbarcarono in Normandia.

How to f**k the white monkey for fun & profit 101: case study #5 (pt.2)

(Questo è il seguito di un precedente post)
Inizia così la spirale verso il baratro, come sempre lastricata da mazzette di banconote.
I cinesi sono ben contenti di avere sempre più ordini; le quantità aumentano sempre, i container arrivano più o meno sempre puntuali, e dall’Italia iniziano a sparire macchinari, competenze, persone, accordi con fornitori di materie prime &c. &c.
Il sagace lettore avrà già intuito dove si va a parare questa volta. Fino a quando durerà tutto questo? Attenzione, ecco che si arriva al punto focale, eccoci alla svolta.
Tutto inizia con un container di un prodotto a caso, per esempio flaconi di shampoo.
L’inizio della fine sono le lamentele di qualche cliente sulla qualità dei flaconi, ma si tratta di casi borderline, che si possono liquidare rispondendo che il prodotto non era stato stoccato in base alle indicazioni fornite. “Eh certo caro mio, se tu tieni la roba in un magazzino troppo freddo (o troppo caldo) lo shampoo poi coagula (o diventa troppo liquido)”, roba così.
Niente di cui preoccuparsi, cose che capitano.
Poi ne arriva un’altra, tipo che il materiale dei flaconi è troppo sottile, le bottigliette si schiacciano troppo facilmente.
Quindi ancora, i tappi non si avvitano bene; poi un’altra rogna, e poi un’altra, una sequela infinita di scocciature.
Ma come è possibile, questi cinesi erano così bravi! Mica possiamo mandare gli ispettori della qualità a controllare tutto quello che fanno! Cosa è successo?
Beh, per farla breve il gioco degli astuti cinesi era proprio questo: assumersi l’onere di eseguire tutta la produzione, a qualsiasi costo, anche in perdita.
Poi, poco per volta, risicare un centesimo di qui, un centesimo di là… ma piano piano, la perfetta incarnazione del principio della rana bollita.
Ora, da qualsiasi angolo si consideri la faccenda, il problema maggiore è il costo del QC: per mantenere uno straccio di qualità i costi dei controlli diventano sempre più alti, al punto che non è più nemmeno conveniente importare il prodotto dalla Cina. Questo è il vero “Elephant in the room”.
Si instaura quindi un circolo vizioso dove il Brambilla di turno quando vede una non conformità squittisce come una pantegana, e dall’altra parte il cinese che minimizza e dice che per implementare una possibile soluzione bisognerebbe alzare i prezzi.
L’unica soluzione possibile, l’unica silver bullet che farebbe tremare le ginocchia al lupo mannaro dagli occhi a mandorla, sarebbe di picchiare il pugno sul tavolo e gridare: “Allora ce ne andiamo. Niente più ordini. Vendetela a qualcun altro la vostra spazzatura.”
Quant volte ho sognato di poter pronunciare questa frase, invece di dover strisciare come un verme e supplicare di consegnare la merce in tempo…
Il fatto è che la stragrande maggioranza delle aziende straniere in Cina (almeno quelle con cui ho lavorato io) non ha abbastanza numeri per poter mantenere due fornitori e passare da uno all’altro quando le cose non sono più soddisfacenti. E questo i cinesi lo sanno benissimo, lo sapevano fin dal primo giorno.
D’altra parte riportare la produzione in Italia sarebbe improponibile: non ci sono più le competenze, i macchinari; mancano le persone, le materie prime, i fornitori eccetera. Inutile dire che i cinesi sapevano benissimo anche questo, anzi questo era proprio il loro obbiettivo, il fine ultimo, il succo del loro piano tattico.
Ora tutto si regge su di un delicatissimo equilibrio, dove la fabbrica cinese si arrovella giorno e notte per mantenere una facciata di apparente efficienza mentre invece tutti gli sforzi sono diretti ad osare sempre di più per effettuare una produzione il più scadente ed economica possibile.
Dall’altra parte l’ingenuo cliente bianchiccio tira tutte le leve in suo possesso per convincere i cinesi a lavorare in maniera decente senza doverli pagare troppo.
Cosa resta da fare ai Brambilli di tutte le nazioni?
Ah non sarò di certo io a trovare la risposta a questa domanda da un milione di dollari; i migliori cervelli del mondo ci hanno provato, pochissimi sono riusciti a portare a casa la pelle intatta (cortese eufemismo per per non parlare di orifizi innominabili).
A me, in quanto ultima ruota del carro e sottoposto alle angherie della checca isterica di turno, non resta che augurare a tutti i Brambilli del mondo tanta, ma proprio tanta fortuna. Ne hanno bisogno.

Riunione

Qualche settimana fa ho fatto da interprete per una riunione tra i vertici di un’azienda di produzione cinese e vari capi e capetti di un’azienda italiana.
Il tutto era online, con gli italiani (me compreso) variamente attrezzati di cuffie e microfoni, mentre i cinesi condividevano uno schermo a parete in una sala riunioni della loro fabbrica.
Un uomo della controparte italiana stava tra i cinesi, con aria visibilmente indispettita già dall’inizio.
La riunione era stata indetta (o “chiamata”, come dicono loro) già da giorni, quindi tutti i partecipanti sapevano della data; non solo, era stata mandata la scaletta con i punti da discutere, senza parlare di tutto il carteggio intercorso in precedenza.
Ebbene il capetto di turno dall’Italia ha esordito subito spruzzando veleno su di una certa particolare faccenda, tra le varie che erano in agenda.
Al che il suo uomo in Cina con calma glaciale lo ha informato che a suo tempo era stato mandato un messaggio con tutti i dettagli. Ecco il perché della sua espressione negativa: evidentemente conosceva il suo pollo e già sapeva cosa aspettarsi.
Tutti quindi hanno dovuto aspettare mentre questo qui davanti a tutti cercava il messaggio sul suo computer, informandoci del procedere dei suoi tentativi con “Ah no non lo trovo”, “Ma a chi l’avete mandato”, “In che data lo avete mandato” e altre esternazioni completamente fuori luogo.
Alla fine dopo avere finalmente trovato il messaggio l’ha dovuto leggere, mentre tutti gli altri si guardavano in faccia fischiettando.
Come si può giustificare qualcuno che pretende di avere voce in capitolo ma non si è tenuto aggiornato sul procedere?
Come è possibile che certa gente si creda in diritto di poter disporre del tempo altrui per fare i propri comodi?
Certo, mi diranno i miei sagaci lettori, ma quando uno è molto impegnato non fa mica in tempo a leggere tutto.
Beh io dico che se è una tua responsabilità e sei tu che devi decidere, se hai voce in capitolo ti senti in diritto di fare la checca isterica ma non sei aggiornato sulla faccenda, allora vuol dire che stai lavorando male.
Con il procedere della riunione poi ad un certo punto questo ha incominciato a saltellare in giro per la stanza lanciando urletti incolleriti. È stato uno dei momenti più imbarazzanti che ricordi.
I cinesi, già notoriamente restii a manifestare emozioni apertamente (e comunque non certo prima di avere tracannato quantità preoccupanti di grappa), non hanno battuto ciglio; forse perché già abituati a certe esternazioni del personaggio, oppure può darsi che avessero deciso in precedenza di mantenere un comportamento dignitoso.
Comunque a giudicare dagli sguardi scambiati di sottecchi penso che l’opinione maturata a riguardo del capetto in questione non fosse troppo lusinghiera.
Ad un certo punto la questione volgeva su di un certo problema tecnico. I cinesi si sono assunti la responsabilità dell’errore.
Nella mia modesta opinione se uno dice “Ho sbagliato, è stata colpa mia”, perlomeno gli si dovrebbe dare atto dell’onestà dimostrata; sicuramente sarebbe inutile rigirare il coltello nella piaga, cercando di ottenere poi che cosa? Un vantaggio tattico? Un senso di superiorità, di affermazione?
Invece è proprio quello che è successo, con il capetto urlatore che pretendeva di sapere perché fosse stato commesso l’errore, chi avesse sbagliato, come fosse stato possibile sbagliare una cosa tanto semplice; il tutto chiaramente con me in mezzo che dovevo tradurre le sue esternazioni.
Bravo,capetto italiano, bravo. Hai avuto la tua affermazione di identità. Hai affermato il tuo (ridicolo) potere.
Sei stato di qualche utilità? Hai contribuito alla situazione?
Bah, che devo dire. Alla fine l’importante è che paghino, poi se tutta la baracca affondasse nell’ignominia comunque non sarebbero problemi miei.
Però alla fine della fiera… che vergogna

How to f**k the white monkey for fun & profit 101: case study #5 (pt.1)

Per questa puntata ero quasi tentato di cambiare il nome del protagonista… povero Brambi, mi sembrava di averlo già tartassato abbastanza.
Quasi me lo immagino, me lo vedo davanti agli occhi: decisamente sovrappeso per non dire grassoccio, con un bel faccione bianco e rosso, stretto in un completo grigio chiaro di una misura troppo piccolo per lui.
Un po’ pelato, ma si fa il riportino; ha sempre con sé un fazzoletto perché suda in abbondanza anche d’inverno.
Ma non facciamoci prendere dai sentimentalismi, via, un’altra puntata sul nostro Brambillone nazionale!
È venuta un po’ lunga per cui la pubblicherò in due parti.
Comunque, il nostro eroe dopo averne prese un sacco e una sporta da Mr W. e Mr. Y. (vedi puntate 1, 2, 3 e 4 ) non se l’era presa poi troppo male; anzi se ne era fatta una ragione, si sa, gli affari sono affari, mica sempre va bene.
Il problema sono i suoi amici milionari, quelli che in Cina si sono arricchiti con le produzioni a basso costo e ora lo prendono in giro dovunque osi mostrare il suo rubicondo volto.
<voce da imbruttito> “Alura Brambilla, come va coi cinesini? Stai vendendo?” (pacca sulla spalla) </imbruttito>
Brambilla non ce la fa più. Non è possibile che tutti intorno a lui stiano nuotando nei soldi cinesi e lui invece abbia preso solo batoste.
Dopo lunghe elucubrazioni una soluzione si profila all’orizzonte. Nella sua mente ormai lo striscione del mercato più grande del mondo si è purtroppo miseramente afflosciato, sostituito però da uno ben più sgargiante e promettente: “ANDARE A PRODURRE IN CINA”!
Ora devo aspettare un attimo che si calmino le omeriche risate suscitate da questa frase, che andava così di moda qualche anno fa,
Il Brambilla non è mica l’ultimo arrivato, mica pretende di andare in Cina a mettere su una fabbrichetta.
Lo sa persino lui che ormai di trippa per gatti non ce n’è più… non sono più gli anni ’90 quando i canti delle snelle sirene cinesi dagli occhi a mandorla attiravano investimenti da tutte le parti del mondo, capannoni e siti produttivi spuntavano come funghi per sfruttare la monodopera locale a basso costo.
Piuttosto, ecco la scaltra alternativa: trovare una fabbrica cinese già avviata, e far loro produrre OEM il marchio COBRAM.
Ma è l’uovo di Colombo! Brambilla si tira i radi capelli: come non averci pensato prima?
Con tutte le fabbriche che ci sono in Cina, così golose di ordini dall’estero, così trepidanti nell’attesa di servire clienti occidentali!
Si prenoti immantinente un biglietto areo per la Cina!
La solerte segretaria non fa nemmeno in tempo a finire la prenotazione che il Brambilla già si precipita in aeroporto.
Inizia così la lunga trafila per trovare un fornitore in Cina: viaggi in lungo e in largo per le visite alle fabbriche, interminabili cene condite da innumerevoli brindisi con il famigerato 白酒 (báijiǔ) “baijiu”(*), e poi campioni da valutare, parametri da decidere, condizioni da specificare… non si finisce più.
Persino il Brambila ad un certo punto arriva al punto di non poterne proprio più; sta per gettare la spugna: quello che sembrava l’Eldorado si sta invece rivelando una insopportabile ordalia.
Ed ecco che ad un tratto succede il miracolo: si trova una fabbrica di tutto rispetto, sia pure sperduta in mezzo al nulla, che si dichiara entusiasta di produrre le carabattole COBRAM, e anche ad un prezzo stracciato!
Tanto stracciato da esser incredibile, come faranno a starci dentro?
Eppure i campioni inviati sono ineccepibili, i contratti parlano chiaro… Si proceda!
Presto le cupe nuvole della disperazione sono fugate dall’atmosfera degli uffici COBRAM, per essere sostituite da ottimistiche esternazioni: “Gliela facciamo vedere noi a quei tromboni dell’associazione industriali, ah!”, “Il Brambilla è arrivato in Cina”, ah! e via dicendo.
Con il passare delle settimane e dei mesi la situazione migliora a passi da gigante.
Finiti i tempi cupi dei profitti risicati al centesimo, era da anni che non si vedevano numeri del genere in fondo ai bilanci.
Persino i dipendenti sono passati dal tradizionale italico disincanto nei confronti dell’azienda ad un moderato ottimismo, addirittura i responsabili del “progetto Cina” sono soggetti a bonarie battute tipo “A te sì che va tutto bene” che sottintendono però la pronfonda invidia di chi non ne fa parte.
Il Bramb è al settimo cielo. Oramai è entrato nell’olimpo degli industriali, non lo ferma più nessuno.
Chi prima lo prendeva in giro ora lo approccia con le orecchie basse e gli fa i complimenti.
Diciamocelo: il Brambilla sta per scoppiare dalla felicità.
E come tutti, ma proprio tutti, nessuno escluso, il Brambilla non si accontenta.
D’altra parte dopo tante fatiche e tante perdite, una volta trovata la miniera d’oro perché non sfruttarla appieno?
Perché continuare a mantenere costosi dipendenti scansafatiche, complicati e fragili macchinari, perché continuare a pagare l’affitto di ormai vuoti capannoni quando conviene così tanto produrre in Cina?
Perché non trasferire tutta la produzione in Cina?
Arrivederci alla prossima puntata per l’inevitable catastrofe che sta per abbattersi sulla COBRAM.

Note:
(*) praticamente petrolio

Novella 26

他还有一个电匣子, 据说是花了大价钱从一个山外人手里买来,为的是学些新词儿,编些新曲儿。

Aveva anche una radiolina, che si diceva essere stata acquistata a caro prezzo da qualcuno che veniva da oltre le montagne; la usava per imparare nuove strofe e nuove melodie.

  • 电匣 (diàn xiá) “radiolina”

其实山里人倒太在乎他说什么唱什么。

In effetti la gente sulle montagne teneva fin troppo in considerazione quello che lui diceva o cantava.

  • 倒太在乎 (dào tài zài hū) “preoccuparsi troppo”

人人都称赞他那三弦子弹得讲究,轻轻漫漫的,飘飘洒洒的,疯颠狂放的,那里头有天上的日月,有地上的生灵。

Tutti lodavano le squisite melodie che traeva dal suo violino, delicate e soavi, fluttuanti, pazze e selvagge, evocanti il sole e la luna nel cielo, e le creature sulla terra.

  • 称赞 (chēng zàn) “lode, elogio”
  • 讲究 (jiǎng jiu) “prestare attenzione ai dettagli, esigente”
  • 轻轻漫漫 (qīng qīng màn màn) “leggere, rilassato”
  • 飘飘洒洒 (piāo piāo sǎ sǎ) “alla deriva, leggero e libero”
  • 疯颠狂放 (fēng diān kuáng fàng) “selvaggio e sfrenato”
  • 生灵 (shēng líng) “esseri viventi”

老瞎子的嗓子能学出世上所有的声音。

Era come se la voce del vecchio cieco contenesse tutti i suoni del mondo.

  • 嗓子 (sǎng zi) “gola, voce”

男人、女人、刮风下雨、兽啼禽鸣。

Uomini, donne, vento e pioggia, e i versi delle bestie.

  • 兽啼禽鸣 (shòu tí qín míng) “urli di bestie e cinguettii di uccelli, rumore della natura”

不知道他脑子里能呈现出什么景象,他一落生就瞎了眼睛,从没过这个世界。

Non si poteva sapere quali visioni passassero nella sua mente; cieco dalla nascita, non aveva mai vissuto nel mondo reale.

  • 呈现 (chéng xiàn) “mostrare, presentare, esporre”
  • 景象 (jǐng xiàng) “panorama, vista, scena”

小瞎子可以算见过世界,但只有三年,那时还不懂事。

Si sarebbe potuto dire che il piccolo cieco aveva visto il mondo, ma solo per una durata di tre anni, quando non capiva ancora niente.

他对说书和弹琴并无多少兴趣,父亲把他送来的时候费尽了唇舌,好说歹说连哄带骗,最后不如说是那个电匣子把他留住。

Egli non nutriva troppo interesse nelle storie e nel violino; quando suo padre l’aveva avviato alla professione di cantastorie aveva dovuto usare ogni argomento possibile per convincerlo, e alla fine l’unica cosa che lo aveva trattenuto era stata la radiolina.

  • 兴趣 (xìng qù) “interesse, hobby, passione”
  • 费尽了唇舌 (fèi jìn le chún shé) “usare ogni argomento, fare sforzi smisurati”
  • 好说歹说 (hǎo shuō dǎi shuō) “fare pressione, persuadere con ogni mezzo”
  • 连哄带骗 (lián hōng dài piàn) “imbrogliare, ingannare”

他抱着电匣子听得入神,甚至发觉父亲以时候离去。

Teneva la radiolina all’orecchio come fosse un oracolo, a malapena si accorse che suo padre lo stava abbandonando.

  • 听得入神 (tīng de rù shén) – “ascoltare così attentamente da essere rapiti”
  • 甚至 (shènzhì) – “persino, addirittura”

recinto

Ecco un famoso 成语 (chéngyǔ):


亡羊补牢 (wáng yáng bǔ láo)

  • 亡 (wáng) “morte, perdita, sparire”: 灭亡 (miè wáng)”estinguere” come in 恐龙灭亡 (kǒng lóng miè wáng) “l’estinzione dei dinosauri”
  • 羊 (yáng) “pecora, ovino”; infatti 山羊 (shānyáng) è “capra”
  • 补 (bǔ) “riparare, correggere”: 补偿 (bǔcháng) “compensare, risarcire”; 补丁 (bǔdīng) “pezza, toppa”; 补充 (bǔchōng) “integrare, completare”
  • 牢 (láo) “prigione, recinto”: 坐牢 (zuò láo)”imprigionato”

Letteralmente significa “Riparare il recinto dopo che la pecora è scappata.”

Il bello di questa frasetta è che si può usare in più modi:

  1. Esortativo tipo “Non è mai troppo tardi per correre ai ripari (in seguito ad un problema)”: 没事了,可以亡羊补牢 (Méishìle, kěyǐ wángyángbǔláo)
  2. Derogatorio: “Ueh pirla, è inutile che ti affanni adesso che è troppo tardi”: 你怎么笨,就是亡羊补牢 (Nǐ zěnme bèn, jiùshì wángyángbǔláo)
  3. Preventivo, nei suggerimenti: “Meglio che facciamo qualcosa adesso prima che sia troppo tardi”: 不要亡羊补牢 (Bùyào wángyángbǔláo)

Esistono versioni diverse riguardo alle origin di questo motto.

Secondo alcuni questa perla viene dal 列子 (Lièzǐ) “Liezi”, un libro scritto da 列御寇 (Liè yù kòu) “Lie Yukou” nel periodo dei Warring States (战国时期 Zhànguó shíqí , 475-221 A.C.), un tempo di eroi e gesta leggendarie, grande sviluppo letterario e pecore molto intraprendenti.

Nel libro è raccontata la storia di un pastore che appunto trascura di riparare un buco nel recinto delle pecore, quindi una di queste scappa, dopodiché lui ripara il recinto.

Praticamente è come una una favola di Esopo, ma in un libro che in realtà è un trattato filosofico taoista. Infatto l’autore poi prosegue con tutta la pippa di come certe cose vadano fatte per tempo eccetera. Comunque le generazioni successive hanno sublimato la storiella in un motto, e così è arrivata fino a noi.

Il libro è considerato uno dei capisaldi del taoismo assieme al 道德经 (Dàodé jīng) “Dao De Jing” di 老子 (Lǎozi) “Laozi” (di cui esistono innumerevoli versioni online) e al 庄子 (Zhuāngzi) “Zhuangzi”, il libro scritto da se stesso, infatti l’autore si chiamava proprio 庄子.

In realtà pure l’autore del Liezi viene indentificato con il nome del libro, come ulteriore riprova che i cinesi antichi non avevano tempo per badare a certi dettagli secondari, occupati com’erano a combattersi l’uno con l’altro e rincorrere pecore fuggitive.

Il Liezi si differenzia dagli altri per l’utilizzo di allegorie e metafore per spiegare concetti filosofici; è ricco di storie popolari, miti e leggende, tutti intesi a rappresentare valori educativi e di grande significato filosofico.

Un’altra versione parla del 战国策 (Zhànguó cè) “Strategie dei regni combattenti”.

Ai tempi, nel regno di 楚 (Chǔ) “Chu” un ministro di nome 庄辛 (Zhuāng xīn) “Zhuang Xin” disse al re 襄 (Xiāng) “Xiang” che stava facendo troppo lo sciolto con i suoi amici ricchioni (同性恋, tóngxìngliàn) invece di seguire i problemi dello stato.

Per esempio, pare che la città di 郢 (Yǐng) “Ying” (la loro capitale) fosse in pericolo di essere invasa da qualcuno degli altri stati (cosa che a quanto pare capitava un giorno sì e l’altro pure).

Il re a sentirsi dare del ricchione montò su tutte le furie e ne disse di tutti i colori al buon Zhuang Xin.

Questi rispose che se ne sarebbe andato a nascondersi nel vicino regno di 赵 (Zhào) “Zhao” per vedere cosa sarebbe accaduto.

Detto fatto, Zhuang Xin ristette a Zhao per soli cinque mesi, dopodiché il regno di 秦 (Qín) Qin invase Chu, e il re Xiang fu costretto ad andare in esilio.

Mandò allora a chiamare Zhuang Xin per chiedergli consiglio. Zhuang Xin rispose con una filippica sui doveri del sovrano e gli smollò anche il proverbio di cui sopra, non si sa in quale delle tre accezioni.

Morale che comunque sono delle belle storielle e il proverbio salta fuori spesso anche nella conversazione normale.

frasario

Ecco qui un utile frasario per viaggiatori in Cina, da stampare e portare sempre con sé.
Si tratta di un pratico elenco di termini che potrebbero essere utili in qualsiasi momento; alla bisogna sarà sufficiente mostrare il foglio e puntare con il dito il termine desiderato.

Andiamo ad inizare:

  • 二百五 (èrbǎiwǔ) letteralmente “duecento cinque”, ma usato per indicare una persona stupida o ignorante, ma anche testarda o spericolata, incosciente
  • 人渣 (rén zhā) letteralmente “spazzatura umana”, usato per indicare una persona cattiva o malvagia
  • 傻瓜 (shǎguā) “sciocco”, usato per indicare una persona ingenua o poco sveglia. Leggermente meno insultante ma comunque negativo il derivato 傻瓜蛋 (shǎguā dàn)
  • 公主 (gōngzhǔ) letteralmente “principessa”, usato per indicare una donna che si comporta in modo arrogante o viziato
  • 呆子 (dāizi) letteralmente “stupido”, usato per indicare una persona lenta a comprendere o che ha difficoltà a capire le cose
  • 妓女 (jìnǚ) letteralmente “donna di piacere”, usato per indicare una prostituta. Come succede spesso nelle varie lingue i sinonimi sono abbondanti: 妓子 (jìzi), 妓院女人 (jìyuàn nǚrén), letteralmente “donna della casa di piacere”, 娼妓 (chāngjì), 小姐 (xiǎojie), letteralmente “signorina”, 拉皮条的 (lā pítiao de) letteralmente “colei che si fa pagare per accompagnare”
  • 婊子养的 (biǎozi yǎng de) letteralmente “cresciuto da una prostituta”, usato per indicare una persona che si comporta in modo spregevole o immorale.
  • 恶棍 (ègùn) letteralmente “malvagio”, usato per indicare una persona cattiva o malvagia
  • 愚蠢 (yúchǔn) letteralmente “sciocco”, usato per indicare una persona poco sveglia o che non capisce le cose
  • 流氓 (liúmáng) letteralmente “teppista”, usato per indicare una persona che si comporta in modo violento o criminale
  • 狗圣 (gǒushèng) letteralmente “santo dei cani”, usato in modo ironico per indicare una persona che si crede superiore o molto importante.
  • 狗屎 (gǒu shǐ) escrementi di cane
  • 狗崽子 (gǒu zǎi zi) figlio di cane
  • 狗日的 (gǒu rì de) maledizione, espressione di disprezzo
  • 狗皇帝 (gǒu huáng dì) tiranno, persona arrogante e autocratica
  • 王八蛋 (wáng bā dàn) letteralmente “figlio di testuggine”, usato come “bastardo” come il derivato 王八羔子 (wáng bā gāo zǐ)
  • 白痴 (bái chī) idiota, persona con una grave deficienza mentale
  • 笨蛋 (bèn dàn) stupido, imbecille. Questo si usa talmente spesso che non è nemmeno più un insulto grave, un po’ come noi diremmo “stupidino”. C’è anche la versione affettuosa, come al solito ottenuta con la ripetizione: 笨笨 (bèn bèn)
  • 绿茶婊 (lǜ chá biǎo) ragazza ipocrita, falsa e calcolatrice
  • 蠢货 (chǔn huò) stupido, idiota
  • 贱人 (jiàn rén) persona spregevole, volgare e indegna
  • 杂碎 (zá suì) persona spregevole e disprezzabile
  • 傻屄 (shǎ bī)letteralmente “stupido orifizio vaginale”, stupido