Per chi si avventura in Cina, ci sono consigli e avvertimenti che possono risparmiare tempo e fatica, e anche evitare pietose figuracce.
La pagina che vorrei presentare oggi fa parte dell'ultima categoria, quella "salva-faccia".
Mi rivolgo in questo post a chi il cinese lo parla già, e per la precisione alla specifica situazione nella quale ci si trova ad intrattenere conversazioni con persone che si vedono per la prima volta.
lo schema è fisso; dopo i primi convenevoli parte la solita conversazione che ho già praticato migliaia di volte, costituita da una infinita serie di complimenti: "Ma come parli bene il cinese", "Come sei bravo", "Sembri proprio un cinese", "Pochi stranieri parlano il cinese così bene".
Attenzione, primo consiglio: non cadere immediatamente in brodo di giuggiole perché i cinesi dicono così a tutti, a CHIUNQUE, anche ai sordomuti.
Comunque, dopo avere ripetuto le stesse cose per una dozzina di volte, ci si avvia finalmente verso la conversazione spicciola.
È qui che prima o poi scatta la trappola.
Si può essere matematicamente certi di questo, deve essere qualcosa cablato nel DNA, oppure qualcosa che insegnano loro da piccoli, a scuola:"Mi raccomando bambini, quando vedete uno straniero dovrete fargli la trappola! Hi hi hi, snigger snigger!".
Ci si può stupire di come i cinesi sotto certi aspetti siano così prevedibili, soprattutto considerato che ritengono di essere furbi come il demonio; ma forse proprio per questo, perché pensano tutti la stessa cosa, alla fine poi in realtà sono tutti uguali, dal primo all'ultimo.
Comunque tornando a noi, solitamente il "domandone" (o "trappolone") consiste in qualcosa di apparentemente innocuo, tipo: "Ieri ho mangiato il BRISCIUT."
Segue una pausa pensosa.
Questo è il segnale, l'imbeccata: in questo momento bisogna decidere come reagire, in un duello di strategia, valutando le caratteristiche dell'avversario e tenendo bene a mente gli insegnamenti di Sun Tzu e Miyamoto Musashi.
La trappola in realtà è vecchia come il cucco, probabilmente veniva già usata dail'uomo di pechino quando incontrava un altro ominide proveniente dalla valle vicina alla propria.
Se si è rilassati ed in buoni rapporti, si può candidamente sorridere e chiedere: "Ma cosa sarà mai questo misterioso brisciut?"
Si scopre quindi che si tratta della misteriosa rana caudata che vive solo sulla montagna di origine dell'interlocutore, e quello è un termine che usano solo lì, anzi solo nel suo quartiere, anzi solo nel suo condominio.
Inutile puntualizzare che l'apporto alla conversazione dato dal brisciut è pressoché nullo, anzi decisamente negativo e molesto, e secondo me anche un pochino offensivo.
Insomma cerchiamo di immedesimarci, in un esercizio che pratico da tempo e che ha sempre dato ottimi risultati: è come se incontrassi un cinese che per anni e anni abbia faticosamente studiato l'italiano, ed fosse arrivato al punto di potersi esprimere con correttezza, quindi alla prima occasione gli facessi il test della cadrega come nella famosa scenetta!
Che senso avrebbe? Cosa ci sarebbe da dimostrare?
Vogliamo per forza ribadire a tutti i costi la schiacciante superiorità di seimila anni di storia cinese (autentica o meno), la cultura, le invenzioni, eccetera, &c, &c, che veramente non se ne può proprio più?
Il primo impulso per me, che qui ci devo vivere, e di cose del genere mi capitano tutti i santi giorni, è di balzare in piedi urlando, rovesciare il tavolo, poi usare la sedia per fracassare il cranio all'interlocutore.
Ma non viviamo mica in un telefilm americano, e nemmeno nel Bel Paese!
Qui bisogna controbattere ma con un sorriso, e poi magari andare assieme al KTV.
Una ottima strategia è il fuoco di sbaramento con una fila di domande: "Ma com'è fatta questa rana? E quanto vive? E dove si trova? E come si cucina? Che verso fa? Quante ce ne sono? Si trova tutto l'anno?" E così via.
C'è una buona probabilità che il molesto interlocutore non sappia praticamente nulla dell'argomento, quindi si senta colto in fallo, e sperabilmente prima di proporre un'altra trappola ci penserà due volte.
Se invece il termine assomiglia a qualcosa di vagamente conosciuto, per esempio un piatto tipico lombardo, si può anche fare finta di aver capito e proseguire con la conversazione: "Ah sì, buono, mia nonna lo faceva sempre."
Sono impagabili le soddisfazioni che si ottengono con questo tipo di risposte, semplicemente osservando le espressioni di sgomento sulla faccia dell'avversario.
Pare di potergli leggere nella mente mentre si chiede: "????! Ma non saprà mica davvero cos'è il brisciut? Ma chi è questo? E ora cosa dirò alla prossima riunione del CRPS (comitato ridicolizzazione pubblica stranieri)?"
Le soddisfazioni sono purtroppo di breve durata, perché l'interlocutore incredulo non potrà fare a meno di chiedere: "Ma tu lo sai cos'è il brisciut?"
Caro, carissimo interlocutore... Ma se già sapevi che io non sapevo, allora cosa l'hai tirato in ballo a fare? Perché? PERCHÉ?
In questo caso la via d'uscita è semplice, basta dire: "Certo che lo so, è la carne d'asino trita fatta in pentola, yumm, buono."
Questa è una via d'uscita onorevole, perché per uno straniero è lecito confondersi su di un termine.
Una volta invece mi sono incaponito a dire "Certo che lo so" e basta, senza fornire altre spiegazioni.
Questo ha provocato una certa empasse, perché l'interlocutore in questione non si azzardava a dire "E allora dillo, cos'è?": sarebbe stato troppo.
Allora ha continuato a ripetere: "Ma lo sai cos'è?" e io: "Certo, lo so!" e così via per un po' di volte, fino a quando si è arreso e l'ha detto lui.
Per la cronaca, era un termine indicante uno di quei gradi di parentela che per spiegarlo ci vuole un foglio Excel, e che si usava solo nella sua città, anzi solo nel suo quartiere, etc... etc...
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