How to f**k the white monkey for fun & profit 101: case study #5 (pt.2)

(Questo è il seguito di un precedente post)
Inizia così la spirale verso il baratro, come sempre lastricata da mazzette di banconote.
I cinesi sono ben contenti di avere sempre più ordini; le quantità aumentano sempre, i container arrivano più o meno sempre puntuali, e dall’Italia iniziano a sparire macchinari, competenze, persone, accordi con fornitori di materie prime &c. &c.
Il sagace lettore avrà già intuito dove si va a parare questa volta. Fino a quando durerà tutto questo? Attenzione, ecco che si arriva al punto focale, eccoci alla svolta.
Tutto inizia con un container di un prodotto a caso, per esempio flaconi di shampoo.
L’inizio della fine sono le lamentele di qualche cliente sulla qualità dei flaconi, ma si tratta di casi borderline, che si possono liquidare rispondendo che il prodotto non era stato stoccato in base alle indicazioni fornite. “Eh certo caro mio, se tu tieni la roba in un magazzino troppo freddo (o troppo caldo) lo shampoo poi coagula (o diventa troppo liquido)”, roba così.
Niente di cui preoccuparsi, cose che capitano.
Poi ne arriva un’altra, tipo che il materiale dei flaconi è troppo sottile, le bottigliette si schiacciano troppo facilmente.
Quindi ancora, i tappi non si avvitano bene; poi un’altra rogna, e poi un’altra, una sequela infinita di scocciature.
Ma come è possibile, questi cinesi erano così bravi! Mica possiamo mandare gli ispettori della qualità a controllare tutto quello che fanno! Cosa è successo?
Beh, per farla breve il gioco degli astuti cinesi era proprio questo: assumersi l’onere di eseguire tutta la produzione, a qualsiasi costo, anche in perdita.
Poi, poco per volta, risicare un centesimo di qui, un centesimo di là… ma piano piano, la perfetta incarnazione del principio della rana bollita.
Ora, da qualsiasi angolo si consideri la faccenda, il problema maggiore è il costo del QC: per mantenere uno straccio di qualità i costi dei controlli diventano sempre più alti, al punto che non è più nemmeno conveniente importare il prodotto dalla Cina. Questo è il vero “Elephant in the room”.
Si instaura quindi un circolo vizioso dove il Brambilla di turno quando vede una non conformità squittisce come una pantegana, e dall’altra parte il cinese che minimizza e dice che per implementare una possibile soluzione bisognerebbe alzare i prezzi.
L’unica soluzione possibile, l’unica silver bullet che farebbe tremare le ginocchia al lupo mannaro dagli occhi a mandorla, sarebbe di picchiare il pugno sul tavolo e gridare: “Allora ce ne andiamo. Niente più ordini. Vendetela a qualcun altro la vostra spazzatura.”
Quant volte ho sognato di poter pronunciare questa frase, invece di dover strisciare come un verme e supplicare di consegnare la merce in tempo…
Il fatto è che la stragrande maggioranza delle aziende straniere in Cina (almeno quelle con cui ho lavorato io) non ha abbastanza numeri per poter mantenere due fornitori e passare da uno all’altro quando le cose non sono più soddisfacenti. E questo i cinesi lo sanno benissimo, lo sapevano fin dal primo giorno.
D’altra parte riportare la produzione in Italia sarebbe improponibile: non ci sono più le competenze, i macchinari; mancano le persone, le materie prime, i fornitori eccetera. Inutile dire che i cinesi sapevano benissimo anche questo, anzi questo era proprio il loro obbiettivo, il fine ultimo, il succo del loro piano tattico.
Ora tutto si regge su di un delicatissimo equilibrio, dove la fabbrica cinese si arrovella giorno e notte per mantenere una facciata di apparente efficienza mentre invece tutti gli sforzi sono diretti ad osare sempre di più per effettuare una produzione il più scadente ed economica possibile.
Dall’altra parte l’ingenuo cliente bianchiccio tira tutte le leve in suo possesso per convincere i cinesi a lavorare in maniera decente senza doverli pagare troppo.
Cosa resta da fare ai Brambilli di tutte le nazioni?
Ah non sarò di certo io a trovare la risposta a questa domanda da un milione di dollari; i migliori cervelli del mondo ci hanno provato, pochissimi sono riusciti a portare a casa la pelle intatta (cortese eufemismo per per non parlare di orifizi innominabili).
A me, in quanto ultima ruota del carro e sottoposto alle angherie della checca isterica di turno, non resta che augurare a tutti i Brambilli del mondo tanta, ma proprio tanta fortuna. Ne hanno bisogno.

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