How to f**k the white monkey for fun & profit 101: case study #6

Dove eravamo rimasti?
Il nostro Brambilla Cuor di Leone ormai le ha provate proprio tutte; è pure dimagrito, ha perso qualcuno dei pochi capelli che rimanevano ad ornare la sua augusta capoccia, ha difficoltà a dormire, insomma è ridotto ad uno straccio.
La notte rimane sveglio a fissare il soffitto, mentre il suo cervello come in una maratona di film d’essai gli ripropone l’incessante trafila dei suoi tentativi falliti.
Si consola solo pensando che alla fine, tutto sommato, la Cobram non ha sofferto più di tanto.
Certo non si sono realizzati i favolosi guadagni prospettati, anzi si è perso qualcosina, ma l’azienda è solida, i prodotti ci sono e si vendono.
Però rimane sempre quel pensiero fisso in fondo al cervello che ogni tanto fa capolino mandando raggi colorati da oltre l’orizzonte, facendo intuire un persistente sventolio di quello striscione dai colori sfolgoranti: “IL MERCATO PIÙ GRANDE DEL MONDO”.
Passano i giorni, che diventano settimane e mesi; l’azienda procede tranquilla e di Cina non si parla quasi più, eccetto qualche battutina sarcastica dei dipendenti alla macchina del caffé, ma solo quando il Bramb non è a portata di orecchio.
Un giorno però accade l’impensabile: senza nessun preavviso, come un mago che bussi alla porta di uno Hobbit, ecco che alla porta della Cobram si presenta un cinese.
L’ardito orientale si presenta come signor Z. ed esige un colloquio con il titolare.
Il Brambilla quasi non ci crede: si frega le mani sogghignando e si prepara a rigurgitare addosso al malcapitato tutto l’astio accumulato in anni di soprusi.
Il cinese però esordisce con toni pacati, nel suo italiano fortemente accentato racconta storie di malcapitati imprenditori e dei loro insuccessi nella Terra di Mezzo, storie che ricalcano in maniera impressionante quanto successo alla Cobram.
Addirittura cita nomi che fino a qualche tempo prima deridevano la Cobram per non essere riuscita a sfondare in Cina.
Il Bramb è come ipnotizzato; non pensa più alla sua progettata rivalsa nei confronti di questo rappresentante del popolo da cui si sente tradito. Da una parte si sente quasi violato, dall’altra è sollevato al pensiero di non essere l’unico ad essersi fatto sedurre dalle canzoni delle sirene cinesi.
Il Figlio del Cielo intanto continua imperterrito, passando a descrivere i recenti sviluppi che hanno portato insignificanti città di provincia a diventare capitali del commercio internazionale.
Il governo cinese tiene molto al progresso, all’amicizia tra popoli e ai rapporti commerciali con l’estero.
Al punto che sono state concesse piogge di finanziamenti, sono state fatte detonare barriere doganali, in pratica si sono aperte luminose autostrade dove transitano merci di ogni sorta in entrambe le direzioni.
A questo punto il Brambilla si riscuote dal suo torpore e sbotta: “Ma cosa credi che io non le so queste cose? È tutto bello finché non ci provi davvero, e poi rimani impigliato come un pesce all’amo mentre gli squali ti spolpano fino all’osso!”
L’orientale fa sfoggio della più imperturbabile calma confuciana. È proprio qui che sta il busillis, caro imprenditore italiano: inutile rischiare di persona.
Brambilla rimane folgorato e rimane ad ascoltare a bocca aperta quello che propone il suo interlocutore dagli occhi a mandorla.
Si tratta di un nuovo centro commerciale appena costruito, interamente dedicato al made in Italy. Si trova in una località poco distante da moderne grandi città, collegata ad esse da nuove autostrade e scintillanti treni ad alta velocità.
Il governo cittadino cede spazi completamente aggratis, incluso elettricità e personale.
Sono in via di finalizzazione accordi con il governo provinciale per l’istituzione di zone a trattamento speciale dove parcheggiare le merci importate senza pagare dazi fino al momento in cui ce ne sarà effettivamente bisogno.
Bisogna solo spedire la merce, che volerà via dagli scaffali in men che non si dica.
In pratica: investimenti zero.
Il Brambilla è un po’ sospettoso. È comprensibile, dato che le precedenti sconfitte gli bruciano ancora.
D’altra parte però la nuova prospettiva non gli dispiace: si tratta di un’iniziativa cinese, tutti i rischi sono loro, lui deve solo metterci un container di merce e poi si vedrà.
Non deve nemmeno andare in Cina di persona.
Ma siccome il Bramb è il Bramb, e lui sì che ha fatto la gavetta eccetera, e non si fida di nessuno, chiede di andare a fare un giro conoscitivo sul posto.
“Non c’è nessun problema”, risponde con un sorriso il cinese; “anzi ci andiamo insieme”.
Ecco che si configura l’ennesima missione in Cina, stavolta un poco più in sordina delle precedenti. Il Bramb e qualche altro imprenditorucolo, guidati dal signor Z., visitano questo mall nelle fasi finali della costruzione.
Rimangono tutti impressionati.
Il centro commerciale è a dir poco faraonico, luccicante di marmi e brillante di luci di tutti i colori.
La città è pure carina, anche se mai sentita prima; effettivamente è anche ben collegata ad altre città più grandi, egualmente mai sentite, ma che vantano numeri consistenti in quanto popolazione, GDP eccetera.
Le condizioni poi sono vantaggiosissime: zero affitti, zero costi di manutenzione, elettricità gratis, zero tasse per i primi due anni di attività.
La città poi si prepara a diventare una specie di capitale del commercio internazionale, proprio come Yiwu.
Beh, pensa il Brambilla, un container si può anche mandare. Detto fatto, al ritorno nel Bel Paese si organizza una spedizione di prodotti assortiti.
Questa prima spedizione si deve sdoganare tramite i soliti canali, perché la zona a trattamento speciale non è ancora pronta (**DRIIIN***… primo campanello di allarme).
Arriva il momento dell’inaugurazione: altoparlanti a manetta, striscioni, gran discorsi, risi e bisi.
Il punto vendita COBRAM è un gioiello: lustro e luccicante, bene illuminato, ben due signorine in divisa.
Ma… di “compratori” nemmeno l’ombra.
“Arriveranno”, dice flemmatico Mr. Z.
Ebbene, la facciamo breve… i “compratori” non arriveranno mai, e le folle che hanno invaso il centro commerciale all’apertura erano solo curiosi squattrinati provenientei dalle campagne circostanti.
La “gabola”, come si dice dalle mie parti, è che né al governo cittadino, né al management del mall, a nessuno insomma sin dall’inizio non importava niente degli espositori italiani. Non esistono “compratori”, la città non compare in nessuna mappa delle rotte commerciali.
A tutti quanti importa solo di riempire in qualche modo gli spazi per l’inaugurazione in modo da far vedere che il centro commerciale è un successo.
Perché tutto questo? Per giustificare il prestito ottenuto dal governo centrale.
Infatti il faraonico mall è stato costruito con i soldi che audaci imprenditori cinesi hanno munto da Pechino o dalla provincia sfruttando qualche iniziativa o programma roboante di retorica comunista tipo “Costruire edici commerciali per aggiungere valore alle zone depresse”.
Questo tipo di prestiti prevede poi dei parametri ben precisi tipo “X numero di negozi, Y percentuale di stranieri”.
La verifica dei parametri viene effettuata una sola volta, dopodiché succeda quel che deve succedere.
Ecco cosa voleva veramente mister Z.: d’accordo con il management del mall e con il governo cittadino, l’unico interesse in gioco era riempire i negozi in tempo per l’inaugurazione.
Il seguito della storia è molto triste. Gli accordi con il governo per l’abbattimento dei dazi si rivelano per quello che sono, e cioè fumo e vapore.
Nessuno compera niente, e le merci invece di volare via rimangono appollaiate sugli scaffali a fare polvere.
I successivi container approdati alla dogana sono fermi in attesa che qualcuno paghi i dazi, l’alternativa è rimandare tutto indietro.
Ben presto, le file di luccicanti negozi abbassano le serrande e il grande mall prosegue il suo cammino predestinato, cioè diventare una cattedrale nel deserto che la cattiva manutenzione ridurrà ad un rudere pericolante nel giro di qualche anno.

N.B. quanto scritto l’ho vissuto in prima persona avendo fatto l’interprete al Brambilla di turno