ristoranti 2

In un precedente post si discuteva delle tensioni da affrontare quando si va alla steak house in Cina.
Teniamo comunque presente che la steak house rappresenta, diciamo così, la punta di diamante del mondo dei ristoranti in Cina; al di sotto c’è tutto un universo, dove non sempre le cose vanno così lisce.
Cambiamo quindi categoria e andiamo ad approfondire i ristoranti più tradizionali, quelli proprio completamente cinesi.
Ampie finestre, tavoloni con la tovaglia che arriva fino a terra, sedie in alcuni casi ricoperte di velluto: i conterranei di guarnigione nell’Impero capiranno al volo cosa intendo.

ristorante

Questo è il tipo di ristorante che viene più gettonato quando capita di scorrazzare in lungo ed in largo a visitare fornitori o clienti per trattative, consulti, reclami, lamentele o altri ameni passatempi.
Caratteristica principale di questo tipo di locali sono le gabbie e gli acquari piazzati in bella vista vicino all’ingresso dove sono tenuti in esposizione, vivi e vegeti, animali di ogni forma e colore.
Questo non a fini decorativi ma per assicurare al cliente la freschezza delle carni servite; gli avventori hanno inoltre il vantaggio di poter scegliere personalmente il pollo o pesce o tapiro o qualsiasi altro rappresentante del regno animale che si voglia consumare.
Regola fondamentale: se si è in compagnia di cinesi, chiedere a loro di ordinare e non cedere a nessun compromesso, per nessun motivo.
In questo modo loro saranno contenti, e al manipolo di caucasici in visita sarà grantita l’avventura da raccontare ai colleghi di ritorno al Bel Paese.
“Ho mangiato l’oloturia! Ho mangiato il granchio crudo!” sono frasi che fanno sempre effetto.
Al massimo si correrà il rischio di cadere in balìa dell’ospite, e quindi finire in qualche karaoke, oppure sotto al tavolo in preda ai fumi dell’alcool. Niente di grave.
Può invece capitare che il gruppo sia formato esclusivamente da impavidi esploratori bianchi, e allora i parametri cambiano: entra in gioco l’effetto menù.
Quando va molto bene, su detto menù ci sono le fotografie dei piatti.
In questo caso è meglio dire agli altri commensali che è lecito esprimersi per “point and grunt“, minimizzando l’interazione verbale con il personale e la conseguente propagazione dell’errore.
Il protocollo prevede la conferma all’ordine: anche vedendo l’omino bianco che annaspa indicando una fotografia di un piatto con una mano e facendo segno “UNO” con un dito, la cameriera comunque chiederà: “宫保鸡丁一份,是吗?” (gōngbǎo jīdīng yīfěn, shìma?) “Pollo alla Gong Bao per uno, è così?”.
Lo fanno sempre e comunque, anche tra cinesi; la strategia migliore è sorridere e annuire continuamente, tanto al massimo può capitare che portino un piatto al posto di un altro, ma non si corre il rischio di rimanere a stomaco vuoto.
Quando si è “on the road”, però, bisogna anche considerare com’è la compagnia.
Certo se si è da soli o con qualche altro “China old hand”, non ci sono problemi; basta uno sguardo complice per intendersi, ed iniziare lo scambio di aneddoti.
Molte volte invece capita di essere l’unico che parla cinese e quindi logicamente incaricato di gestire le ordinazioni.
La parte più difficile è far capire ai commensali che i nomi scritti sul menù non sono sempre immediatamente collegabili con le qualità della pietanza.
In fondo non vedo come la cosa possa sembrare strana per qualcuno che a casa propria deve destreggiarsi tra cassoela, millefoglie, caciucco, tiramisù. Sono forse questi nomi collegati in qualche modo agli ingredienti adoperati nella preparazione?
Allo stesso modo, sul menù del ristorante in Cina ci può essere scritto 炸两 (zháliǎng) “due esplosi”, 蚂蚁上树 (mǎyǐshàngshù) “formiche che salgono sopra ad un albero”, 酿三宝 “tre tesori ripieni”, 铁狮子头 (tiě shīzitóu) “teste di leone alla piastra”.
In questi casi l’unica via di uscita è chiedere al personale come sono preparati i piatti, al che il cameriere regolarmente cade dalle nuvole e deve correre in cucina a chiedere lumi; questo provocherà delle altre domande, quindi una nuova sortita nelle cucine, e così via. Anche questo è normale, succede sempre anche tra cinesi.
Il problema vero è far fronte alla prorompente simpatia italica dell’espertone di turno che è andato una volta in vita sua al ristorante cinese in Italia e quindi pensa di possedere una vasta cultura sull’argomento.
Forte della sua vasta esperienza si lancia subito all’attacco e pretende per esempio pollo al limone, o riso alla cantonese, o gelato fritto, oppure qualche altro piatto inventato fuori dalla Cina.
Scattano le spiegazioni, e cioè che il limone in Cina è considerato un frutto esotico e non si usa per insaporire il pollo; che il riso alla cantonese è stato inventato in America e in Cina non c’è, o almeno esiste una variante che si chiama 扬州炒饭 (Yángzhōu chǎofàn), ma non è la stessa cosa, e così via.
Comunque anche questo fa colore, ed è divertente (almeno per le prime venticinque volte).

10 thoughts on “ristoranti 2”

  1. Io alla fine in Cina (e non solo) ho mangiato – beh, almeno assaggiato – tutto quello che mi e’ stato offerto, senza rompere troppo le palle con richieste particolari. Quando si tratta di cibo sono davvero un liberal-democratico molto tollerante. Ecco, magari mi da’ un po’ fastidio quando ci mettono chili di peperoncino (perche’ mi suda la testa come se mi avessero preso a secchiate d’acqua) o msg (wei jing, ajinomoto) che mi fa scoppiettare il palato per il resto della serata.
    Una cosa sola non ho mai nemmeno sfiorato: il cane. Quando mi dicono che e’ buonissimo ci credo sulla parola, ma proprio non ce la faccio a inforcarlo e addentarlo. Purtroppo a volte nel cuore della notte e’ quasi l’unica cosa che si riesce a trovare, per lo meno era cosi’ quando abitavo a Kunming…

    1. questo deve essere il commento scomparso di cui mi dicevi…
      Comunque il cane non è niente di che; chiaramente molto dipende da com’è cucinato, io l’ho assaggiato un paio di volte ma non mi è mai piaciuto.

  2. E i ristoranti coi serpenti nell’entrata e quella orribile puzza di rettile che a me fa venire la nausea? Noooo, troppo belli i ristoranti con le poltrone di velluto (spesso appiccicose).
    E il karaoke! La nostra amica e fornitrice di Beijin ce lo aveva in fabbrica. TI immagini? Diceva che se non aveva niente da fare si divertiva a fare il karaoke con la sua segretaria! Ovviamente è toccato anche a noi, tra un lavoro e l’altro!
    Certe volte mi fa venire una nostalgia leggere i tuoi post!

    1. Il karaoke in ufficio l’ho visto anche io… mi avevano detto che era solo per bellezza e non lo usavano mai.
      Mah, a me sembrava bello lucido e spolverato bene!
      Ho visto che ti sei trasferita alla casa della leonessa danzante, che bel nome!

  3. Avevo scritto un commento alcuni giorni fa…ma non e’ mai comparso…giuro!
    Riassunto…io mangio tutto quello che c’e’ a disposizione. Tutto, ma il cane…mai!

  4. Bene, allora non mi sono perso nulla…budella di maiale dici…hmmm…mi ricordo il cervello di maiale, consistenza vomitevole ma sapore accettabile. Uno dei miei piatti notturni preferiti era una melanzana ripiena di carne macinata, un po’ come le nostre, ma dal livello del piccante mi sa che anche quella era una specialita’ locale yunnanese…

    1. Cervello di maiale? Urk… non mi sono mai spinto tanto in là.
      Con la melanzana, è una delle molte cose che ripeto spesso, si va sempre sul sicuro.
      Nel Guangdong facevo grandi scorpacciate di 茄子煲 (qiézi bāo), uno squisito piatto Hakka a base appunto di melanzana.
      Tra l’altro ho notato che qui si trovano quelle lunghe e di colore chiaro, che in Italia ho visto solo al Sud (alla “scapece”…)

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