Per motivi personali, decido di effettuare una spedizione con la cassa con la quale qualche anno fa avevo spedito dall’Italia i miei effetti personali.
Si tratta di una pregevole cassa di legno fumigato di dimensioni di metri 1x1x1, un metro cubo giusto giusto.
Faccio recapitare il cubozzo nel parcheggio coperto sotto casa e chiamo una nota ditta di trasporti, spiegando per filo e per segno l’orario del ritiro (due del pomeriggio), luogo di destinazione, misure, probabile peso complessivo.
Con animo allegro incomincio quindi a preparare scatoloni vari da mettere nella cassa.
Il mattino del giorno stabilito incomincia la serie delle obbligatorie telefonate di conferma al trasportatore, che poi diventano telefonate di sollecito, per poi assumere toni iracondi quando il ritardo supera le due ore.
Tutto normale, niente di cui preoccuparsi. Succede sempre, ogni volta, sicuro come il sorgere del nuovo sole.
Alla fine suona il campanello, e si presenta un ragazzotto con un classico carrello cinese di quelli fatti in casa, composti da una intelaiatura di metallo saldata alla bell’e meglio, con dei cuscinetti a sfera a mò di ruote.
Si procede alla compilazione dei moduli, complicata dal fatto che il mio nome non è composto da tre caratteri quindi non ci sta nello spazio assegnato, e poi il ragazzo non ha mai visto in vita sua un passaporto, eccetera eccetera.
Superate le difficoltà burocratiche, si procede a sistemare su detto carrello tutte le scatole che avevo preparato e sulle quali avevo ingenuamente apposto scritte tipo “fragile”, “mettere in basso”, “mettere in alto”, “non capovolgere” eccetera.
Accenno a qualche flebile protesta. “Scusa, invece di fare una piramide alta due metri sul carrello, non si potrebbero fare due viaggi?”
“Non c’è problema, ce la facciamo benissimo.”
“Il fatto è che le scatole sotto risultano un po’ schiacciate.”
“Tanto è solo per due minuti, il tempo di scendere in ascensore.”
“Ma ci passiamo poi dal’ascensore? Non è troppo alto?”
“Non c’è problema.”
Una volta terminata la piramide, in effetti la salita sull’ascensore non presenta troppi problemi.
Purtroppo per arrivare al parcheggio sotterraneo dopo l’ascensore c’è una porta leggermente più bassa, dove si verifica la rovinosa caduta di alcune delle scatole più fragili che avevo avuto cura di lasciare in cima al mucchio.
Prendo qualcosa al volo come nei cartoni di Tom e Jerry, e superiamo la porta.
Mi volto verso la cassa per togliere il coperchio, e sento un agghiacciante rumore di scatole cadute.
Purtroppo la griglia sopra al canale di scolo subito dopo la porta si è rivelata un ostacolo fatale per le piccole ruote del carrello.
Procediamo quindi alla raccolta degli oggetti usciti da alcune delle scatole.
Chiedo poi: “Dov’è il camion?”
“Non ci hanno lasciato entrare, dicono che è troppo alto e qui non passa.”
“Ma se mettiamo tutte le scatole nella cassa, poi sarà troppo pesante per metterla sul camion. Come pensi di fare?”
“Mettiamo le scatole vuote per terra; mettiamo la cassa vuota sul carrello; mettiamo le scatole nella cassa; portiamo fuori la cassa piena con il carrello; svuotiamo la cassa vicino al camion; mettiamo la cassa vuota sul camion e quindi la riempiamo di nuovo con le scatole.”
Abbacinato da questo improvvisa rivelazione mistica, rimugino un po’ e convengo che in effetti non c’è altra maniera.
Ci accingiamo quindi ad eseguire il piano tattico.
Purtroppo la rampa per uscire è molto lontana, c’è di mezzo il parcheggio sotterraneo che è stato costruito prendendo come modello il labirinto del minotauro. La rampa di entrata invece è lì vicina, quindi chiedo alla guardia di fermare momentaneamente le macchine all’ingresso per permetterci di uscire da lì.
Risultato: mentre compiamo sforzi erculei per far superare alla cassa piena i cordoli antivelocità su per la rampa, veniamo quasi investiti da un’automobile.
Non penso nemmeno a rimproverare la guardia e ci dirigiamo verso il camion.
Appena arriviamo vicino al camion inizia a piovere, una di quelle piogge torrenziali a goccioni grossi come pugni che capitano solo nel Guangdong e nei film di Fantozzi.
Il ragazzo sentenzia: “Dico all’autista di muovere il camion sotto l’albero, lì non piove.”
La manovra viene eseguita immediatamente, con qualche difficoltà perché i rami più bassi si impigliano sulla sommità del cassone e ci strisciano lamentosamente.
Fortunatamente avevo chiuso perbene la cassa con il suo coperchio, altrimenti mi sarei trovato con un metro cubo di acqua e poco altro.
Una volta aperte le ante del camion, mi aspettava un’amara sorpresa: il camion era già pieno di altre scatole.
Rivolgo al ragazzo un’occhiata da cerbiatto ferito, e lui mi dice: “Non c’è problema, adesso faccio spazio.”
Il relativo riparo delle foglie d’albero non mi evita di prendere una bella razione di acqua piovana, mentre guardo affascinato questo tizio che sposta scatole come nel gioco dei 15 per creare uno spazio di un metro cubo nel vano di carico del camion.
Nonostante avessi pensato che fosse impossibile, la pioggia aumenta di intensità.
Ritengo impossibile svolgere il resto delle operazioni previste dal “master plan” e propongo di spostare la cassa sotto ad un porticato che offre un relativo riparo.
Il porticato presenta un gradino insormontabile dal carrello con sopra la cassa e quindi la essa viene lasciata a macerare sotto l’acqua torrenziale mentre io ed il ragazzo ci guardiamo attorno, e l’autista resta invisibile nel suo abitacolo.
Mi metto a cercare una maniera per permettere al camion di venire in retromarcia fino a sotto al porticato, ma è impossibile: l’intera zona è stata circondata da paletti cementati messi lì apparentemente al preciso scopo di evitare una manovra del genere.
Non resta che aspettare che il temporale finisca.
Dopo qualche decina di minuti non piove più. Il ragazzo nel frattempo era sparito; spingo carrello e cassa vicino al camion.
Tolgo il coperchio e vedo che l’acqua è entrata ugualmente, ma il danno non sembra troppo grave.
Compare l’autista, un signore di mezz’età, assieme al ragazzo; allora ribalto il coperchio per terra e sposto un po’ di scatoloni sopra a detto coperchio, mentre il ragazzo finisce l’opera di creazione di spazio all’interno del cassone e l’autista osserva meditabondo.
Quando la cassa è mezza vuota, i due propongono di sollevarla.
Purtroppo appena iniziato il movimento, l’autista accusa forti dolori di schiena. Devo prestare all’opera le mie forti braccia.
Bene o male mettiamo la cassa sul camion.
Il ragazzo si accinge a rimettere dentro le scatole ma dopo un mio perentorio urlaccio si fa da parte e si limita a passarmele mentre io cerco di trovare una sistemazione ottimale.
Qualcosa da questi cinque anni di Cina l’ho anche imparato, per cui mi ero portato martello e chiodi per chiudere il coperchio della cassa.
Alla fine, bagnato come un pulcino, sporco e sudato come un camallo, il ragazzo mi presenta da firmare l’ultimo foglio: “Plichi spediti: uno”
Hahaha!
Forse un giorno scriverò anche del cinema all’arrivo della cassa…
immagino quanto sara’ contento il poveraccio che riceve la cassa